Nel 2015 il 3,7 % dei prodotti di largo consumo confezionato sono andati in out-of-stock (erano il 4% nel 2014) e le vendite perse sono del 4,7% (5% nel 2014): il miglioramento rispetto all’anno precedente denota certo una maggiore attenzione a contenere le rotture di stock, ma soprattutto l’efficacia delle azioni correttive messe in atto dalla filiera, che hanno consentito di “non perdere” vendite per circa 134 milioni di euro.
I dati provengono dal Barometro OSA di ECR Italia, che, in collaborazione con IRI, analizza ogni mese i dati di vendita di oltre 2.300 punti vendita della GDO sul territorio nazionale e misura l’out-of-stock e le vendite perse nel mondo del largo consumo fino al dettaglio della singola categoria merceologica.
Il Barometro è lo strumento di misurazione continua e aggettiva del fenomeno su cui le aziende e la filiera possono basare il perfezionamento e la valutazione dei processi di gestione delle rotture di stock messi a punto in ambito ECR Italia e applicati dalle imprese.
Il fenomeno dell’out-of-stock produce conseguenze significative anche nei comportamenti di acquisto dei consumatori: 3 volte su 7 un consumatore non trova sullo scaffale il prodotto che cerca.
Questo quanto emerge dall’analisi fatta da ECR Italia in collaborazione con IRI di 5.500 giri spesa effettuati nel corso di un mese da parte di 780 acquirenti.
La prima reazione dello shopper davanti allo scaffale dove manca il prodotto che cerca è un effettivo senso di fastidio: oltre 1 acquirente su 2 dichiara di essere infastidito dall’out-of-stock e ben il 25% registra un impatto decisamente sgradevole.
6 clienti su 10 realizzano comunque un acquisto per sostituire il prodotto non trovato, limitando quindi la probabilità di vendite perse per il retailer a circa il 35% degli acquirenti.
Per l’industria, invece, aggiungendo il brand switching nella categoria (23%), la sostituzione con altra categoria (25%) e l’acquisto cancellato (25%), il potenziale di rischio di vendite perse cresce virtualmente al 73% degli shopper.