Le autostrade sono invase dai camion e presto collasseranno: è una situazione ormai insostenibile che richiede interventi tempestivi!”.
Queste le parole che esperti del settore dei trasporti hanno ripetuto tante volte negli ultimi anni.
Ed ancora: “E’ indispensabile sviluppare altre modalità, come quella ferroviaria e quella marittima: in caso contrario, infatti, il nostro sistema dei trasporti non riuscirà a sostenere il futuro aumento dei traffici prodotto dal boom economico di Paesi come la Cina o l’India.
Ma perché ferrovia e mare diventino una reale alternativa al trasporto su gomma occorre investire in un’efficiente rete di interporti.”
Ma cos’è esattamente un interporto? La legge 240/90 definisce l’interporto come “un complesso organico di strutture e servizi integrati finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comunque comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi ed in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione”.
Strutture, dice la legge. Tra queste, oltre ad uno scalo ferroviario, attrezzato con terminal container, adatto alla formazione di treni blocco, anche vari edifici adibiti ad uffici e numerosi magazzini ad uso delle diverse aziende (spedizionieri, corrieri, addetti alla gestione delle merci, …) che operano nell’interporto.
E per quanto riguarda i servizi? Tanti, alcuni dei quali generali come l’illuminazione, la sorveglianza, i parcheggi e i punti di ristoro, altri tipicamente gestionali come il servizio doganale o quello bancario ed altri ancora, infine, più propriamente logistici come la gestione degli ordini, lo smistamento, il trasporto, il magazzinaggio, l’imballaggio, la pallettizzazione e la lavorazione delle merci.
In sintesi agli interporti (neologismo per indicare dei “porti interni” dai quali non partono o arrivano navi ma treni), ricchi di strutture e servizi e finanziati da capitali pubblici e privati, viene di fatto attribuita una doppia funzione: da un lato quella di attrarre e concentrare flussi di traffico merci, dall’altro quella di organizzare, razionalizzando percorsi e consegne, la catena del trasporto plurimodale.
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Il sistema interportuale italiano comprende ad oggi 19 strutture operative localizzate per lo più nel nord Italia ed altre 13 in fase di realizzazione o di progettazione destinate in gran parte al centro ed al sud della Penisola. Gli occupati totali della rete sono oltre 48.000 di cui 27.000 attivati in modo diretto e 21.000 in modo indiretto.
Ma quale futuro si prospetta per questo settore? Secondo il parere espresso nell’ultima assemblea nazionale dal presidente dell’Unione Interporti Riuniti De Dominicis, esistono per l’interportualità concrete possibilità di crescita ma perché ciò avvenga è fondamentale operare secondo un’ottica globale della mobilità delle merci.
Solo con una legge di riordino dell’intero settore dell’intermodalità e della logistica che privilegi gli interessi comuni rispetto a quelli settoriali, afferma infatti De Dominicis, il sistema dei trasporti italiano potrà essere competitivo.
Ed è proprio perseguendo quest’obbiettivo di “sistema unico” che hanno operato negli ultimi anni gli interporti, raggiungendo rilevanti risultati in termini di compattezza, coesione e definizione della strategia di crescita.
E per quanto riguarda più propriamente i progetti da finanziare a breve?
A questo proposito il presidente, pur riconoscendo lo stato di “quasi” emergenza di settori quali l’autotrasporto, il ferroviario ed il marittimo, ritiene che oggi sia preferibile per il governo fare scelte a favore del settore logistico e dei trasporti nella sua totalità, privilegiando quindi investimenti:
Ma l’argomento interporti non si conclude qui: in un prossimo articolo parleremo un po’ più dettagliatamente del progetto UirNet e della piattaforma logistica di Tianjin. A presto dunque e non abbandonateci perché, come direbbero i conoscitori della lingua inglese, to be continued!