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Lo splafonamento
La sanzione edittale prevista in caso di splafonamento risulta essere dal 100 al 200% l'imposta sul valore aggiunto evasa


Consulenza e Formazione

Lo splafonamento

13 Dicembre 2010

Con il termine splafonamento si è soliti riferirsi all’ipotesi in cui “l’esportatore abituale” utilizzi nell’acquisto di beni e servizi un plafond superiore a quello effettivamente costituito.
Naturalmente gli esportatori abituali devono sempre porre la massima attenzione all’utilizzo progressivo del plafond al fine di non incorrere nelle sanzioni previste in caso di splafonamento.

Il Plafond

Sono considerati “esportatori abituali” i soggetti passivi che hanno registrato nell’anno solare precedente (plafond fisso) o nei 12 mesi precedenti (plafond mobile) un ammontare di esportazioni o altre operazioni assimilate, per un importo superiore al 10% del volume d’affari dell’anno (plafond fisso) o dei 12 mi precedenti (plafond mobile).
La sommatoria di tali operazioni di esportazione o operazioni assimilate (cessioni intracomunitarie, lavorazioni verso l’estero, ecc..) costituisce il plafond: una somma “virtuale” a disposizione dell’esportatore per effettuare acquisti di beni e servizi senza applicazione dell’imposta (anche nelle transazioni Italia su Italia)

Sanzioni per lo splafonamento

La sanzione edittale prevista in caso di splafonamento risulta essere dal 100 al 200% l’imposta sul valore aggiunto evasa in forza dell’emissione irregolare di una o più dichiarazioni di intento.

Ritorno delle bollette doganali di export

Condizione necessaria per poter lecitamente costituire plafond è rappresentata dalla corretta esecuzione delle operazioni di esportazione. Molto spesso i soggetti passivi sottovalutano la circostanza che l’operazione di esportazione, per essere validamente conteggiata nel calcolo del plafond, deve risultare “conclusa”.
Da un punto di vista doganale la “conclusione” regolare di un’esportazione è data dal ritorno, all’esportatore, dell’esemplare n.3 della bolletta doganale di export riportante il “visto uscire” apposto sul retro da parte della Dogana (nei casi previsti, triangolazione ed esportazione a groupage, tale bolletta doganale può essere validamente sostituita dalla fattura di vendita riportante le necessarie attestazioni).
Questo aspetto non risulta affatto trascurabile in quanto diverse centinaia di migliaia di bollette doganali non rientrano regolarmente “nelle mani” degli esportatori ogni anno con la conseguenza che le fatture di vendita non possono essere regolarmente conteggiate nella costituzione del plafond. Il mancato ritorno della “prova dell’avvenuta esportazione” deve pertanto essere annoverato tra le principali cause di splafonamento per tutti gli esportatori abituali che non abbiano avuto la diligenza di verificarne il tempestivo ritorno o l’accortezza di non conteggiare la fattura di esportazione, emessa con la non imponibilità iva di cui all’art.8 del DPR 633/72, nel calcolo del plafond disponibile.

Si ricorda inoltre che, per i casi in cui l’esportatore abituale risulti sprovvisto dell’originaria bolletta doganale di esportazione, è possibile ricorrere alle prove alternative così previsto dalla circolare dell’Agenzia delle Dogane n.75 D del 11.12.02.

Mancanza di un valido codice identificativo comunitario

Nell’ambito delle cessioni intracomunitarie di merci, gli esportatori abituali devono avere l’accortezza di verificare che a fronte di ciascuna fattura attiva emessa a norma dell’art.41 della legge 427/93 corrisponda un valido codice identificativo comunitario (partita iva) del proprio cliente estero. Si ricorda a tale proposito che la non imponibilità iva trova giustificazione solo nel caso in cui l’operazione presenti i requisiti propri degli scambi intracomunitari: cessione a titolo oneroso, movimento fisico delle merci da un Paese della UE ad un altro Paese della UE e possesso di un valido codice identificativo comunitario del cedente (ditta italiana) e del cessionario (operatore estero).

Nel caso in cui l’esportatore abituale emetta fattura di vendita non imponibili iva a norma dell’art.41 sopra citato, ed in sede di verifica la partita iva estera non risulti essere esistente, tale operazione non potrà essere conteggiata nel calcolo del plafond con la conseguenza che se l’azienda ha già “speso” tale plafond potrebbe correre il rischio di splafonamento con l’addebito delle relative sanzioni.
Riteniamo opportuno ricordare che gli strumenti attualmente a disposizione degli esportatori per verificare l’esistenza e la correttezza delle partite iva comunitarie risultano essere: il sito internet dell’Agenzia delle Dogane www.agenziadogane.it e l’interrogazione che può essere effettuata presso l’ex ufficio iva (oggi Agenzia delle Entrate).

Regolarizzazione splafonamento

In tutti i casi di splafonamento (utilizzo di un maggior plafond rispetto a quello effettivamente disponibile) l’esportatore abituale può optare per la regolarizzazione dell’operazione optando per una delle seguenti soluzioni:

  1. Emissione di autofattura in duplice esemplare nella quale deve essere identificabile ciascun fornitore o prestatore dell’eventuale servizio. Devono inoltre essere evidenti: il maggior plafond utilizzato, l’iva da pagare ed il numero delle fatture ricevute. Entro il termine della presentazione della dichiarazione deve avvenire il pagamento dell’imposta, mediante modello F24, con il calcolo degli interessi legali maturati e della sanzione ridotta ai sensi dell’art.13 del decreto legislativo 472/97 (1/5 di Euro 516), con un minimo di Euro 103 per ogni operazioni effettuata oltre il limite.
  2. In sede di liquidazione periodica entro l’anno ricorrendo al ravvedimento (permane tuttavia l’obbligo di emissione di autofattura e del pagamento a mezzo modello F24).




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