Lo Stretto di Hormuz è da tempo considerato il collo di bottiglia più critico per il commercio globale di petrolio. Situato tra Iran, Oman e Emirati Arabi Uniti, ogni giorno vi transitano circa 20 milioni di barili di greggio, pari al 20% del consumo globale e a un valore annuo stimato in 600 miliardi di dollari. L’inasprirsi delle tensioni tra Israele e Iran, con attacchi mirati e la minaccia concreta da parte di Teheran di chiudere il passaggio, rischia di compromettere la stabilità non solo della regione ma dell’intera logistica energetica mondiale. La decisione del parlamento iraniano di votare per la chiusura segna un possibile punto di non ritorno, facendo schizzare i prezzi del Brent sopra i 73 dollari al barile.
Un blocco effettivo dello Stretto causerebbe un’interruzione stimata di 1 miliardo di dollari al giorno in spedizioni di petrolio, colpendo in particolare i Paesi asiatici. Cina, India, Giappone e Corea del Sud dipendono da Hormuz rispettivamente per il 90%, 50%, 75% e 60% delle loro importazioni di greggio. Anche la logistica del gas naturale liquefatto (LNG) ne uscirebbe gravemente compromessa. La congestione delle navi in un tratto largo appena 33 km nella sua sezione più stretta aumenterebbe i tempi di transito e i costi di trasporto, con inevitabili ricadute sull’economia reale. Per le aziende europee e asiatiche, il rischio operativo e assicurativo delle rotte marittime nel Golfo Persico subirebbe un’impennata.
Sebbene esistano percorsi alternativi – il pipeline East–West saudita (5 milioni di barili/giorno), il collegamento dell’UAE a Fujairah (1,5 milioni) e il più recente Goreh–Jask iraniano (350.000) – questi non sono sufficienti a compensare il volume gestito da Hormuz. Complessivamente possono assorbire meno di un quinto del traffico abituale. Inoltre, incidenti recenti come la collisione tra le petroliere Adalynn e Front Eagle nel Golfo Persico, sebbene non confermati come atti ostili, evidenziano la vulnerabilità crescente della zona anche in condizioni operative standard, complicata da potenziali interferenze AIS e jamming elettronico.
Nonostante gli Stati Uniti dipendano oggi solo marginalmente da Hormuz (circa il 7% delle importazioni), la minaccia resta globale. I tentativi di stabilizzare l’area con la presenza navale internazionale e le pressioni diplomatiche non bastano a garantire la sicurezza logistica delle rotte marittime. Come ha sottolineato l’analista Vandana Hari, per l’Iran una chiusura definitiva del passaggio potrebbe rivelarsi controproducente anche dal punto di vista diplomatico, in particolare nei rapporti con la Cina. Tuttavia, la sola minaccia è già sufficiente a spingere il settore logistico internazionale verso una fase di allerta prolungata, con implicazioni dirette su trasporti, assicurazioni, costi energetici e pianificazione della supply chain. Le aziende dovranno prepararsi a scenari di discontinuità e volatilità, aumentando resilienza e diversificazione dei flussi.
Ricevi la newsletter gratuita per rimanere aggiornato sulle ultime novità del mondo della logistica