27 aprile 2022

Come si forma un logistico?

di Paolo Azzali
Per sapere “come si forma un logistico” o “cosa si deve insegnare a un logistico” è necessario prima di tutto capire quali sono i requisiti.
In uno dei primi libri di logistica che ho letto molti anni fa, l’autore (Claudio Ferrozzi) sosteneva che, al di là delle scontate competenze tecniche nella gestione delle varie attività logistiche sono quattro le caratteristiche fondamentali di un buon direttore della logistica: la conoscenza di base, la capacità di comunicazione, il dominio dei dati, e il potere.

Cerco di ricordare brevemente il senso di quelle frasi che ho avuto sempre modo di condividere nella mia esperienza professionale.

La conoscenza di base è la conoscenza dettagliata dei processi operativi di un’azienda.
Sintetizzando molto, si potrebbe dire che un buon logistico deve conoscere il funzionamento reale di un’azienda anche indipendentemente dal tipo di azienda o dal genere dei prodotti trattati.

In merito alla capacità di comunicazione, è necessario fare riferimento ai numerosissimi punti di contatto fra la logistica e tutte le altre funzioni.
Il logistico deve essere un mediatore, un uomo del compromesso; non possono quindi fargli difetto le qualità comunicative.

Il discorso relativo al dominio dei dati faceva poi riferimento alla concretezza della logistica: una funzione fatta anche di numeri, dati e di informazioni precise e dettagliate sulle quali lavorare e prendere decisioni.
Poiché questi dati e queste informazioni risiedono normalmente nei computer, un buon direttore della logistica deve perlomeno saperli cercare o leggere in quello strumento; senza essere un “super tecnico” ma conoscendo bene quello che un computer sa dare.

Infine il potere.
Una persona che deve mediare le esigenze di funzioni importanti come la produzione o gli acquisti o le vendite e decidere in prima persona quanto o quando acquistare o produrre o distribuire, non può non avere potere; diversamente agli occhi degli altri responsabili aziendali il logistico finirebbe per perdere “valore” e costituirebbe solo un fastidio.

Stabilite le qualità di un bravo logistico, proviamo quindi a dire dove e come si imparano tali qualità rimescolando un poco le carte:
  • Il dominio dei dati si ottiene imparando un po’ di informatica: diffido sempre dei Master in logistica che non prevedano questo argomento in modo consistente nei loro programmi;

  • Il funzionamento di un’azienda (conoscenza di base) si impara solo “vivendo” fisicamente in essa e immergendosi quotidianamente nei suoi molti, piccoli e grandi problemi;

  • Il potere viene attribuito ad una persona solo dopo averla vista all’opera e quindi, anche in questo caso, si tratta di una qualità non acquisibile con la sola teoria e senza la “pratica”;

  • La capacità di comunicazione infine è, in parte è una dote naturale (e come tale non oggetto di insegnamento) ed in parte si acquisisce facendo esperienza “di relazione” con i colleghi.
In sostanza, se diamo per scontate le competenze tecniche nella gestione delle varie attività logistiche, che dobbiamo pensare di aver insegnato in scuole ad hoc (Università, Master, ecc.), tutto il resto (sembrerà banale ma è così) non può che derivare da una buona esperienza di lavoro.

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28 luglio 2021

Dove è più importante la logistica?

di Paolo Azzali
Se mi chiedete per quali aziende che ho conosciuto la logistica è una funzione importante, sarei tentato di dire «per tutte» o, meglio, la logistica è importante soprattutto laddove non funziona, perché, proprio per il fatto di non funzionare, riduce l’utile o impedisce di aumentarlo.
Ma capisco che questa risposta sia troppo generica.

Consideriamo allora la logistica distributiva in due casi estremi di due tipologie di aziende totalmente differenti: un’azienda del settore alimentare (che ad esempio produce pasta) ed un’azienda del settore moda (che ad esempio produce accessori di alta gamma che distribuisce attraverso una rete di negozi fisici).
È evidente che il costo della logistica distributiva nella prima, rapportato al fatturato, è enormemente più alto di quello della seconda.

La logistica nella “moda” (azienda B) è molto meno importante di quella di quella “alimentare” (azienda A) e ciò per diversi motivi:
  1. il numero di punti vendita in A (da rifornire) è molto più alto di quello di B;
  2. la frequenza delle consegne di A è molto più alta di quella delle consegne di B che, peraltro, sono fissate con buon anticipo e perciò programmabili con cura;
  3. i volumi trasportati nell’unità di tempo da A sono di gran lunga superiori a quelli di B, e soprattutto hanno minor valore, cosicché i costi della logistica incidono di più sulla pasta che non sugli accessori (10-15% del fatturato per A, 3% per B).
Tante, come si vede, sono le differenze, ma quella che conta di più ai nostri fini e che rende la logistica di A molto più “importante” di quella di B è il valore dei volumi dei prodotti trasportati e la frequenza delle consegne.

Con ciò non si vuole certo sminuire la complessità della logistica di B, che deve rifornire migliaia di punti vendita sparsi in tutto il mondo in Paesi che hanno norme e tradizioni diverse l’uno dall’altro, tuttavia, concludendo, possiamo dire che paradossalmente la logistica distributiva è tanto più importante quanto più basso è il valore dei volumi della merce trattata.
In seconda battuta contano, naturalmente, anche la frequenza delle consegne e il livello di servizio da rispettare.

Invece, se pensiamo al materials management, dobbiamo riconoscere che lì la logistica è tanto più importante quanto più complesso è il ciclo produttivo, più elevato è il numero dei componenti e dei fornitori, e più alto il valore di tali materiali, perché, essendo solitamente le consegne a carico dei fornitori, qui non conta tanto il costo di trasporto quanto il rischio derivante da una cattiva gestione delle scorte.

Concludendo possiamo dire che la logistica è particolarmente importante nelle aziende che trattano prodotti poveri, in grandi volumi, con consegne ravvicinate e a molti punti vendita, e parimenti lo è per quelle aziende che hanno un processo produttivo molto complesso per numero di item, numero di fornitori e loro dislocazione geografica.

Nelle aziende commerciali, infine, la logistica diventa importante soprattutto per l’elevato numero di articoli e per le differenti regole di gestione esistenti tra le varie famiglie.

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19 maggio 2021

E se cambiassimo veramente?

di Paolo Azzali
L'attuazione del cambiamento rappresenta nelle aziende, per gran parte dei manager che hanno importanti responsabilità gestionali, uno dei momenti di maggiore difficoltà.
È ovviamente così anche in ambito logistico.

Di recente mi capita spesso di dover aiutare aziende di distribuzione non food (ad esempio grossisti) nella gestione del cambiamento del loro processo di pianificazione e programmazione degli approvvigionamenti.
Si tratta di un processo critico, nell’ottimizzazione del quale si possono cogliere importanti opportunità legate sia ai modelli di approvvigionamento normalmente utilizzati sia sull’inefficienza o inesistenza di un idoneo software di supporto sia alla scarsa cultura logistica degli addetti ai lavori.

Purtroppo però, anche quando all’inizio del progetto sono chiare a “tutti” la necessità di intervenire e la possibilità di ottenere buoni risultati, qualche volta il cambiamento non riesce alla perfezione.
Ciò non dipende sempre solo da una non corretta gestione del progetto, ma anche dal fatto che certe cose non si possono solo modificare ma debbano essere invece sostituite.
Forse, di fronte a certe “resistenze”, serve altro.

Provate a pensarci! Cosa fanno oggi le aziende impegnate a migliorare i loro approvvigionamenti?
Cercano ad esempio di rivedere/cambiare le logiche di approvvigionamento e ciò non gli riesce sempre bene in quanto non hanno il coraggio o la forza di fare scelte radicali.
Oppure comprano un software nuovo, ma anche in questo caso il risultato non è completamente soddisfacente.
Oppure ancora fanno frequentare un corso di formazione sugli approvvigionamenti ai loro acquisitori.
I risultati, in questo caso, dipendono dalle qualità del formatore e dalla volontà degli “studenti” di imparare effettivamente qualcosa.

In sostanza queste aziende, per risolvere il problema, si cerca “semplicemente” di cambiare.
E se invece provassero a trasformarsi radicalmente?
Se invece prendessero il loro ufficio acquisti e lo dessero in gestione ad una azienda terza specializzata? Magari non per affidargli proprio tutti gli acquisti: solo quelli relativi a prodotti che presentano una modesta difficoltà di approvvigionamento (fornitori ben individuati e collaudati), che non sono strategici per l’azienda stessa, che non implicano un’attività di negoziazione costante.

Le cose andrebbero meglio o peggio?
È possibile superare il problema culturale di cedere a terzi un’attività cosi “core”?
Ma è veramente “core” se si è gestita quantomeno superficialmente per tanto tempo?
Pensiamoci bene: ha senso spendere quattrini in progetti, consulenza, software e poi far gestire il tutto a persone non qualificate che al primo problema dicono che è colpa dell’informatica?
Pensiamoci bene: è meglio cambiare (aggiustare) o trasformare (comperare nuovo)?

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14 aprile 2021

Quando si vuole cambiare software

di Paolo Azzali
“Il nostro attuale software per la gestione della logistica non funziona più per tutta una serie di motivi che non sto qui ora a spiegarle. Dobbiamo cambiarlo! Abbiamo interpellato un potenziale fornitore ma, nell’incontro iniziale, non ci ha entusiasmato. Lei ci può aiutare? Con il mestiere che fa, con l’esperienza che ha, chissà quante software house conosce; quali pensa che noi dovremmo contattare per invitarle ad effettuare qui da noi una demo dei loro prodotti?”

Non è raro che il sottoscritto venga interpellato da manager d'azienda con una modalità analoga a quella appena citata. Specialmente quando le aziende hanno problemi relativi ai software dipartimentali per gestire le varie attività logistiche come la pianificazione della domanda, la gestione delle scorte, la gestione del magazzino o la gestione dei trasporti.

I problemi di queste aziende, in questa situazione, possono essere più o meno complicati.
Esistono sostanzialmente tre strade diverse per affrontarli:
  • la prima possibilità consiste nel realizzare un vero e proprio studio sul processo logistico dell'azienda. Così si metterebbe in discussione l’attuale organizzazione per scoprire veramente dove sono i problemi originari che attualmente si manifestano solamente a livello di utilizzo dell'attuale supporto software;

  • la seconda possibilità prevede di effettuare un’analisi dei requisiti funzionali del nuovo software dipartimentale ipotizzando che nulla venga in futuro cambiato rispetto ad oggi nelle logiche di gestione del processo logistico in questione. Con il documento che si riesce a produrre ci si può rivolgere agevolmente a diversi fornitori di software per selezionare quello che risponde meglio ai suddetti requisiti;

  • la terza possibilità, infine, consiste semplicemente nell’individuare 3 o 4 aziende ritenute meritevoli di partecipare ad una software selection.
La scelta della strada da percorrere dipende esclusivamente dal tipo di certezze che l'azienda ha già in merito al processo logistico da migliorare!
13 gennaio 2021

Il decisionismo indecisionista

di Paolo Azzali
Stavo riflettendo su alcuni interrogativi che mi sono posto recentemente in occasione di alcuni colloqui con manager e titolari d'azienda.
Le aziende hanno fisiologicamente dei problemi da risolvere ma è a volte difficile focalizzarli con raziocinio senza banalizzarli troppo.

Le piccole e medie aziende industriali italiane hanno in genere tutte problemi di logistica nel vero senso della parola e cioè relativi a tutto il processo operativo o addirittura a tutto il sistema logistico.
Sono consapevoli di questo?
No, pensano di avere problemi relativi a singole attività del ciclo logistico che spesso vengono associati ad inefficienze del sistema informativo.

Purtroppo però un software dipartimentale per la gestione di particolari processi logistici risolve soprattutto problemi relativi all’automazione di procedure complesse che, per risultare efficienti, devono considerare ed elaborare una moltitudine di dati.

Un software, da solo, non riesce a risolvere problemi relativi all’adeguatezza delle logiche di funzionamento delle procedure stesse o problemi relativi all’attendibilità dei dati di input o problemi di effettiva esecuzione di quanto pianificato.

Accade spesso che i manager deputati a risolvere questi problemi non riescano a farlo perché schiacciati dalla pressione di arrivare rapidamente e pragmaticamente al nocciolo della questione.
Il problema è che molti manager pensano (e/o dicono) di essere arrivati a questo "nocciolo" quando ne sono invece ancora lontani.
La fretta e la smania di risolvere un problema spesso porta ad essere superficiali e quindi a banalizzare il problema stesso.
E se si banalizza un problema (di logistica o di qualsiasi altro genere) il problema non si risolve; al massimo si rinvia.
Un manager ispirato solo dal “decisionismo-indecisionista” non è mai un buon manager per la sua azienda.
16 dicembre 2020

Il magazzino camaleonte

di Stefano Bianchi
In tutte le aziende esiste un magazzino.
Bello, brutto, grande, piccolo, manuale o automatizzato, lui, il magazzino, è sempre lì: fedele come un cane e con le sette vite di un gatto.

Quante volte lo abbiamo dato per spacciato o abbiamo cercato di liberarcene?
Nei secoli il magazzino ha imparato a mutare forma meglio di un camaleonte, ha cercato di mantenersi al passo con i tempi, ha affrontato le sfide della Supply Chain, del JIT, della Lean, dell’E-Commerce, è stato crivellato di colpi con una sfilza di acronimi e termini anglosassoni, e malgrado tutto questo è sempre lì.

L’azienda lamenta un livello di servizio inadeguato o un tempo di consegna eccessivo?
Fin troppo facile sparare sul magazzino, se non altro perché è l’attore della catena che ogni volta rimane con il proverbiale cerino in mano e si scotta le dita.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere, possiamo facilmente renderci conto che il magazzino camaleonte, nel tempo, ha perfino imparato a occupare altri spazi all’interno dell’azienda, per esempio ingegnandosi in attività legate alla personalizzazione dei prodotti, oppure dilettandosi in attività di customer service, di pianificazione dei trasporti, finanche di riparazione e manutenzione, e tutto questo spesso in contesti fatiscenti, pericolosi, con attrezzature inadeguate.

Non risulta molto coerente: sarebbe come pretendere prestazioni da formula 1 a una vecchia utilitaria alla quale tra l’altro non ho mai fatto neppure un tagliando!

Questa incoerenza tra dare e avere riguardo il magazzino rappresenta un rischio potenziale per ogni azienda, un rischio che secondo il mio parere non vale la pena correre, anche perché in fondo per invertire la tendenza negativa e migliorare la situazione non servirebbe altro che una maggiore sensibilità su almeno due elementi di base: ergonomia e sicurezza.

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