Flessibilità aziendale significa capacità di adeguarsi rapidamente alle esigenze di un mercato volubile e quindi essere in grado di cambiare rapidamente prodotti, processi, programmi e anche strutture se necessario.
L’azienda, o meglio, alcune aziende sono rigide quasi per definizione.
Cosa fare allora in concreto? Come offrire ad un’azienda “istruzioni” più pragmatiche di un generico “diventa più flessibile”?
Un suggerimento più concreto viene, all’inizio degli anni ’80, dagli Stati Uniti.
Burrhus Skinner, grande esperto di problemi aziendali, uomo della Harward Business School che, vivendo negli Stati Uniti, ha già sperimentato una situazione analoga a quella dei paesi europei, suggerisce le strategie da adottare per superare l’impasse.
Egli dice che per sopravvivere occorre focalizzarsi.
Con un famoso esempio (“non possiamo pensare di progettare un aereo che viaggi ad una velocità supersonica, trasporti 500 passeggeri e sia anche in grado di atterrare su una portaerei”) egli fornisce all’azienda la “ricetta” per sopravvivere.
Con questo esempio Skinner allude al fatto che un’impresa non può perseguire contemporaneamente obiettivi diversi quali produrre articoli di altissima qualità intrinseca, produrli a costi bassissimi; innovarli continuamente.
Per essere vincente un’impresa deve scegliere l’arma con la quale “competere” sul mercato:
Tutte, in contemporanea, non può pensare di usarle; è necessario focalizzarsi.
La ricetta di Skinner sulla focalizzazione strategica trova esempi in numerose realtà anche ai nostri giorni (per esempio: Mercedes compete con la qualità, Peugeot compete con i costi, Audi con l’innovazione tecnologica, ecc.) ma è stata ampiamente smentita dai fatti in seguito.
Merito dei Giapponesi che hanno prodotto articoli di grande qualità, li hanno venduti a prezzi molto bassi e per di più continuano ad innovarli (es.: automobili, Sony,…).
Essi hanno costruito e fatto volare l’aereo che Skinner aveva dichiarato non doversi neppure progettare.
Ci chiediamo come hanno fatto: quale “ricetta” magica ha usato questo popolo per rendere vincenti le proprie aziende anche in mercati saturi e con prodotti “maturi” come l’automobile, la televisione, i computer, ecc.? Tutti i maggiori esperti di economia aziendale concordano nel ritenere che essi, per ottenere il loro obiettivo, hanno utilizzato principalmente quattro leve:
La ricerca e l’innovazione tecnologica non sono fine a se stesse e non devono neanche essere considerate come una risposta ad un bisogno del mercato; la tecnologia, per i Giapponesi, è stata un mezzo per prevenire ed anticipare i mutamenti dei gusti dei consumatori.
Un esempio lampante è il Walkman della Sony: il mercato non richiedeva una “radio portatile da ascoltare con le cuffie facendo ginnastica”, quando però la tecnologia ha consentito di costruirla, la Sony ha realizzato ugualmente un prodotto innovativo.
Nella gestione delle risorse umane i Giapponesi hanno puntato moltissimo su un coinvolgimento estremo delle persone a tutti i livelli.
In una fabbrica giapponese un operaio, oltre ad essere più motivato per natura e ad essere pertanto più produttivo, ha la possibilità di segnalare in modo più evidente eventuali inefficienze produttive od organizzative e, se lo ritiene opportuno, indicare anche qualche possibile soluzione.
Per quanto riguarda la qualità, l’accanimento col quale il processo produttivo viene sorvegliato è veramente notevole.
Diciamo di più: in Giappone ci si è accorti prima che in altri paesi della necessità di controllare la qualità del prodotto finito prima del termine del processo produttivo (quando il danno è già stato fatto), ci si è accorti prima dei vantaggi relativi all’utilizzo di sofisticati metodi matematico-statistici per il controllo della qualità e ci si è accorti prima che se il fornitore è affidabile (e si lavora su quello) il controllo della qualità è addirittura superfluo.
In questo contesto la logistica è entrata nel sistema industriale come strumento di flessibilità aziendale estrema.
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