La trasformazione digitale ha ormai preso il sopravvento all’interno della vita privata quotidiana di tutti noi, ma anche all’interno di quella delle aziende.
Un trend che deve fronteggiare tra le altre cose quello della profonda customizzazione di massa che oggi i clienti si aspettano e richiedono.
Oltretutto i nuovi prodotti hanno sono anche mutati nella loro identità più specifica: se un tempo ognuno di essi serviva a un solo scopo e a se stesso, oggi sono sempre più spesso interconnessi, intelligenti, proattivi.
Insomma, le aziende devono vendere non solo il bene in sé, ma anche un servizio associato.
Questo fenomeno è conosciuto come “servitizzazione”.
Attraverso la raccolta dei dati in tempo reale le aziende possono cioè offrire ai propri clienti l’opportunità di pagare solo in relazione all’effettivo utilizzo (pay x use) o addirittura al rendimento garantito (pay x performance).
In tutto ciò, la rivoluzione sta di fatto portando le aziende ad adottare tecnologie che possano permettere di intraprendere un percorso di digitalizzazione che si sviluppa in tre tappe ben definite.
La prima tappa, “Industria 4.0”, ha il proprio fulcro nell’utilizzo di realtà produttive smart e standardizzate, che operando in maniera autonoma e in contatto con l’ambiente circostante, sono capaci di generare miglioramenti nei processi e nei prodotti offerti.
Riuscire a coinvolgere ogni processo aziendale in questo modus operandi fa sì che si possa raggiungere la seconda fase, quella dell’“Impresa 4.0”.
La tappa successiva, quella della “Supply chain 4.0”, si raggiunge invece con il forte orientamento di tutti gli attori della filiera alle tecnologie abilitanti, dal fornitore di materie prime alle aziende di servizio e assistenza post-vendita. In definitiva, la sempre più alta qualità del prodotto e del servizio offerti al cliente sono frutto di un’efficiente sinergia tra tutti gli attori ed ecosistemi coinvolti nella catena.
La domanda successiva a cui è necessario rispondere è intuitiva: la Supply chain 4.0 dovrebbe coinvolgere solo i processi produttivi o tutti quelli dell’azienda?
Ha provato a rispondere al quesito una ricerca del Laboratorio RISE dell’Università di Brescia, nella quale sono stati mappati una serie di casi reali e di applicazioni delle tecnologie ritenute abilitanti il paradigma 4.0.
Si parte con l’internet of things, attraverso il quale si registrano i movimenti e le soluzioni di rilevamento dello stato di salute dei macchinari e degli impianti.
C’è poi l’additive manufacturing, che partendo da un modello digitale in 3D dà la possibilità di realizzare componenti dalla forma complessa abbattendo costi e tempi.
L’augmented & virtual reality modifica invece il modo di fruizione dei dati, trasformando le informazioni in immagini sovrapponibili al mondo circostanze.
I big data, come si evince dal nome, permettono di elaborare e analizzare una vasta quantità di dati, mentre la collaborative robotics rende possibile condividere l’ambiente lavorativo con robot.
Vi sono infine l’intelligenza artificiale, che permette di replicare attraverso i computer il comportamento umano, il machine learning, nel quale la macchina impara giorno dopo giorno come svolgere al meglio il proprio lavoro, e il cloud manufacturing, attraverso il quale si può realizzare tutto il ciclo produttivo, dal disegno fino alla sua produzione, utilizzando tecnologie presenti in paesi e aziende diverse.
Tutto il processo è controllato da piattaforme informatiche in cloud.
Non tutte le aziende sono in possesso di una visione tanto “smart”, e ancora meno possono permettersi investimenti – almeno iniziali – onerosi.
In generale sono stati individuati 139 casi reali di applicazioni di tecnologie abilitanti riconducibili a 87 aziende: nel 61% dei casi si tratta di realtà non italiane e per il 60% di grandi aziende con fatturato annuo superiore a 1 miliardo di euro.
Le PMI rappresentano la minoranza, con il 14,9% del campione.
Le tecnologie abilitanti possono essere usate in tutti i settori, ma coinvolge soprattutto quello dei macchinari e apparecchiature, degli autoveicoli e mezzi di trasporto e dei prodotti in metallo, che raccolgono il 50% delle aziende considerate.
Anche la diffusione delle tecnologie stesse non è omogenea, con internet of things e additive manufacturing che fanno la voce grossa.
Il 17% dei casi riguarda invece la realtà aumentata e virtuale, seguita dai sistemi di analytics avanzati per l’analisi dei big data e la robotica collaborativa.
Nella maggior parte dei casi, poi, le aziende sposano l’innovazione soprattutto per migliorare il processo produttivo esistente, al fine di raggiungere una maggiore ottimizzazione.
A seguire, le aziende ricercano poi un cambiamento del proprio modello di business, e in questa categoria rientrano le innovazioni che consentono di offrire il prodotto come servizio, abilitando il percorso di una azienda verso la completa “servitizzazione”.
Migliorare la produzione, dunque, ma anche il rapporto con la propria clientela.
Le tecnologie 4.0 sono quindi considerate leve per ottenere un’offerta qualitativamente più elevata rispetto a quella dei concorrenti che non hanno ancora intrapreso un vero percorso di trasformazione digitale.
Tra “Industria 4.0”, “Impresa 4.0” e “Supply chain 4.0”, l’orientamento delle aziende è oggi tuttavia incentrato solo fino al secondo step, con il terzo che risulta ancora molto debole, se non in prossimità dell’utilizzatore finale.
Il processo di trasformazione, insomma, è ancora in corso, e solo nei prossimi anni si riuscirà ad arrivare a raccogliere i massimi risultati da un’impostazione volta all’ottimizzazione e all’utilizzo delle tecnologie attualmente in nostro possesso.