Il riequilibrio delle modalità di trasporto attraverso un approccio intermodale multidisciplinare è oramai indispensabile.
L’obiettivo principale deve quindi essere quello di identificare le variabili dello sprawl e proporre una modalità di valutazione della loro intensità nelle diverse aree metropolitane.
Ciò renderà più semplice per le amministrazioni locali individuare le soluzioni più adatte ai contesti, e più efficace la risposta di operatori e industria.
Qual è la ricetta del futuro per uno sviluppo sostenibile del trasporto di persone e per la city logistics?
Dal Libro Bianco emerge la necessità di:
Dal Libro Bianco emergono anche numerose criticità che caratterizzano la mobilità nel nostro Paese.
Nel 2010, infatti, è stato stimato che il valore complessivo del sistema dei trasporti di merci e di persone nel pianeta ha raggiunto il valore di circa 6,4 trilioni di euro (circa 1.000 euro per abitante del globo).
Il 49% del valore è prodotto dal trasporto privato, il 38% dal trasporto delle merci, meno del 13% dal trasporto collettivo (il 2% a breve raggio e il 10,5% a lungo raggio).
La mobilità non motorizzata pesa su questo particolare PIL solo per lo 0,5%.
La mutazione del panorama urbano è avvenuta soprattutto a scapito dei terreni agricoli più pregiati in quanto meno costosi, meglio drenati, più pianeggianti.
Frammentazione e dispersione crescenti hanno ridotto la sostenibilità del paradigma urbano e abitativo principalmente per le alte esternalità ambientali, sociali ed economiche, concretamente testimoniate dai costi crescenti di infrastrutturazione delle reti (fognarie, energetiche, idriche, viarie) e dei servizi (di smaltimento, di trasporto, pubblici, ecc.).
Il nostro Paese testimonia al pari di ogni altra nazione della Terra il processo di disarticolazione urbana che va compiendosi dal dopoguerra ad oggi.
In Italia prevale ancora il trasporto su gomma.
Il trasporto di merci in ambito urbano costituisce una componente rilevante dell’uso del sistema viario e del territorio cittadino.
Esso riflette a livello locale le stesse criticità e gli stessi ritardi del sistema logistico nazionale.
La percentuale di PIL nazionale a esso attribuibile è pari a circa l’8% (dati Confetra A.T. Kearney, 2011), tasso che dopo una graduale discesa, dalla fine degli anni Novanta è andato crescendo per effetto delle maggiori distanze medie percorse, dell’incremento del costo energetico e della accresciuta richiesta di servizi a valore aggiunto e delle “personalizzazioni” del servizio.
Fattori che avrebbero dovuto controbilanciare queste componenti – come la crisi economica e la riduzione dei volumi trasportati, la progressiva razionalizzazione del settore e il miglioramento della performance di carico – non hanno invertito invece il segno.
Conseguentemente, il nostro sistema produttivo e commerciale sostiene un “extra costo logistico” stimabile in oltre 11 miliardi di euro.
Un terzo di questa minor competitività può essere attribuito alle caratteristiche geomorfologiche del nostro Paese, ma la quota restante è dovuta alla organizzazione o, meglio, alla ancora modesta organizzazione integrata e modale del processo.
Se si esclude il mare – come generalmente accade nelle statistiche ufficiali – considerando solo la movimentazione all’interno dei territori, il ruolo della strada emerge con grande evidenza in Europa e in Giappone, dove la ferrovia ha invece un ruolo marginale.
Dal 2009 il trasporto su strada è diventato modalità principale anche in Cina.
Se poi si considerano gli anni tra il 1970 e il 2010, si rileva che l’atteso switch modale dal trasporto su gomma a quello su ferro non solo non si è verificato, ma la forbice si è gradualmente allargata.
In Italia la prevalenza del trasporto su gomma, e in particolare quello leggero, è più evidente rispetto ad altri paesi Ue.
È ancora poco più che marginale la quota di trasporto su rotaia e nella catena operativa del trasporto tradizionale (trasporto – magazzino – servizi a valore) prevale di conseguenza proprio il costo del trasporto.
La logistica “conto proprio” prevale per il segmento dei trasporti leggeri (circa 80% vs 40/50% media Ue) e di immagazzinamento e servizi (oltre l’85% vs 25% media Ue).
La polverizzazione dell’offerta è tale da aver giustificato l’orribile termine “padroncini” per descrivere un mercato in cui dieci imprese principali si spartiscono il 20% dello stesso, restando la parte eccedente in mano a migliaia di piccoli trasportatori e di imprese individuali.
La frammentazione è la cifra distintiva anche della condizione infrastrutturale del Paese, che registra – ad esempio – un numero di interporti superiore ad ogni altra nazione Ue, se si considera poi che i 25 porti potrebbero essere certamente ridotti di un terzo per raggiungere volumi di movimentazione competitivi.
Questa frammentazione costituisce una barriera al raggiungimento di economie di scala necessarie a “supportare” la diffusione di soluzioni di integrazione sia di processo che applicative (ICT).
Il sistema logistico italiano al 21° posto mondiale
Nella particolare classifica internazionale elaborata dalla Banca Mondiale, che applica un Logistics Performance Index elaborato valutando diversi parametri (procedure doganali, infrastrutture, spedizioni internazionali, qualità e competenza logistica, tracciamento digitale e puntualità delle spedizioni), il sistema logistico nazionale ha scalato alcune posizioni in graduatoria, giungendo al ventesimo posto.
Continua però a essere preceduto da quello di Germania, Olanda, Belgio e Regno Unito (ai primi quattro posti a livello mondiale), oltre che da Svezia, Norvegia, Lussemburgo, Irlanda, Francia, Svizzera, Danimarca e Spagna.
La distribuzione urbana delle merci – nel contesto critico descritto – costituisce una variabile altrettanto critica.
Concentrando l’analisi sui volumi trasportati per classi di percorrenza inferiori ai 50 km, quindi l’ambito di interesse di una analisi dedicata alle grandi aree metropolitane (come esemplificato nel prospetto che segue), si intercettano il 55% dei volumi e il 10% delle tonnellate Km.
La maggior parte dei volumi trasportati al di sotto della soglia dei 50 km è costituita da materiale per costruzioni di varia natura (oltre il 60%), cui segue il trasporto dei rifiuti urbani (per circa il 10%).
La media di carico dei mezzi adibiti a trasporto merci in ambito urbano è particolarmente bassa – circa il 25% del potenziale – ed altrettanto modesto è il dato relativo alla media dei km percorsi dai veicoli merci per singola categoria merceologica.
Alcune delle merceologie richiedono una movimentazione molto frequente (è il caso del settore farmaceutico) o estremamente puntuale, come il caso del food e delle merci in genere deperibili.
In altri casi, alla frammentazione concorrono anche i nuovi modelli di trasporto delle merci – è il caso, per esempio, del ciclo differenziato dei rifiuti che ha certamente un notevole impatto sulle esternalità ambientali, ma richiede una maggiore presenza di mezzi sul territorio – e le razionalizzazioni delle filiere produttive e commerciali, che si orientano sempre più spesso verso sistemi a “magazzino 0”.
E mentre il settore edile è quello in cui il conto proprio è difficilmente organizzabile altrimenti, una fenomenologia in rapida crescita appare quella della commercializzazione via Internet, che sta avendo un impulso molto veloce e che sta aprendo nuove opportunità alla distribuzione esercitata da piccoli vettori.
Ovviamente nel nostro Paese una causa dello status quo risiede anche in una sostanziale deregulation del settore cui si sta cercando soluzione solo negli ultimi anni. Sta di fatto che nei grandi centri urbani nazionali il trasporto delle merci è “monopolizzato” dalla gomma, e più specificamente da vetture e furgoni (rispettivamente sino ad 1.5 ton e 3.5 ton).
Un elemento di novità nello scenario della logistica urbana è costituito dal canale B2C, cioè dall’e-commerce.
In Italia sono oltre 40 milioni le persone che accedono ad Internet, e di queste oltre il 40% accede attraverso dispositivi mobili.
Le stime del valore attuale delle transazioni e-commerce sono molto variabili, ma una stima affidabile le pone al di sopra degli 11 miliardi di euro, con una prospettiva di salita sino a un valore superiore ai 16 miliardi nel 2016.
Le stime del Politecnico di Milano assegnano alle spedizioni per vendite B2C una quota del 10% del volume totale delle spedizioni nazionali, quindi una percentuale significativa che possiamo immaginare fortemente concentrata nelle aree urbane in cui il livello di digitalizzazione e connettività è maggiore.
La riorganizzazione della logistica urbana
La concentrazione di popolazione, attività e transazioni presso grandi aree metropolitane non richiede solo nuove soluzioni per la mobilità delle persone, ma nuovi modelli di governance della logistica cittadina.
La complessità della progettazione di una organizzazione sostenibile di questo processo è data da trasporti polverizzati e di ultimo miglio, varietà merceologiche non sempre compatibili, crescente quota di consegne di beni acquistati on line, articolazione della domanda di beni e della offerta di servizi logistici, numerosità degli attori.
È quindi necessario premettere innanzitutto che la riorganizzazione della rete di servizi logistici cittadini è possibile solo attraverso una allargata consultazione degli stakeholder – che consolidi partnership di filiera – e una capillare informazione che prepari, spieghi e consolidi il cambiamento intrapreso.
Le esperienze di successo maturate in Italia e all’estero dimostrano poi il ruolo fondamentale assunto dalla analisi preventiva del quadro di riferimento ai fini della simulazione di scenari.
L’introduzione di Zone a Traffico Limitato si è diffusa anche in Italia e si è accompagnata alla installazione di tecnologie di controllo e di tariffazione sia per il trasporto privato sia per quello delle merci.
In alcune esperienze, l’articolazione degli strumenti di controllo ha consentito di modulare tariffe e divieti sulla base di finestre orarie, di limitazioni in base a carico e lunghezza dei veicoli o anche della tipologia di motorizzazioni.
Le aree ZTL impattano positivamente su una molteplicità di fattori critici della mobilità (non solo logistici), richiedono livelli di investimento infrastrutturale modesti ma più onerosi – anche se non particolarmente complessi -, sistemi di controllo sia elettronico che umano.
Gli interventi sulle infrastrutture nelle esperienze analizzate hanno gradi di complessità e onerosità molto diversi.
In alcuni casi, i successi sono legati al diretto coinvolgimento – di investimento e gestionale – del partner pubblico; in altri, il binomio tecnologia-arredo urbano consente di coniugare una relativa economicità a un elevato impatto in termini di armonizzazione dei flussi su congestione e inquinamento.
I Centri di Distribuzione Urbana (CDU)
Il modello di business dei CDU, che varia dipendentemente dalla obbligatorietà o volontarietà dell’utilizzo, prevede una pluralità di servizi a valore (in prevalenza sistemi ITS per la movimentazione e WMS per la gestione automatizzata dei magazzini) e poggia di norma su incentivi legati alla tariffazione o all’accesso alle aree centrali della città e alle ZTL.
Tra i modelli di CDU italiani considerati benchmark a livello europeo è VELOCE (Vicenza Eco LOogistic CEnter), detenuto al 55% dall’Amministrazione locale.
Si tratta di un modello non volontario, che serve circa 300 esercizi ma che non copre le spese di gestione.
Più flessibili, economici e meno impattanti dal punto di vista infrastrutturale sono i modelli che si basano sulla tariffazione a tempo di aree di sosta, dedicate nello specifico al carico-scarico e allo stoccaggio temporaneo.
Le piazzole “intelligenti”, ricavate attraverso una riprogettazione del suolo stradale e collocate in aree strategiche, sono particolarmente diffuse nelle principali capitali europee.
La soluzione adottata a Berlino e in sperimentazione a Lione, Torino e Milano, è quella del Bento Box, una sorta di centro di trasferimento e consolidamento per raccogliere e inoltrare in blocco le spedizioni consegnate da un certo numero di fornitori.
Il sistema prevede che le consegne in arrivo e partenza dal quartiere servito siano raccolte dal Bento Box e riconfezionate prima della consegna.
La raccolta e la consegna nel quartiere sono eseguite solo da veicoli più adatti alla circolazione urbana (si va dai cargo hopper a combustione interna ai van elettrici, ai cicli e tricicli elettrici e a pedalata assistita).
Queste iniziative – che fanno della concentrazione delle fasi di rottura dello stock il fattore di successo – si associano ad altre analoghe realizzate da operatori cargo specializzati.
Nelle strategie emergenti di riorganizzazione della logistica cittadina si intersecano interventi infrastrutturali e modelli premiali che insieme consentono e guidano il cambiamento.
Non trattandosi, nel caso del trasporto merci, di cambiamenti di costume trasportistico (come nel caso della mobilità individuale) ma di adozione di nuovi modelli di distribuzione, la ricerca di un equilibrio tra economicità ed efficacia industriali, e di un consenso sulle misure da adottare, ha indotto in alcuni casi – sia italiani sia internazionali – a introdurre strumenti premiali che hanno finito per costituire veri e propri contributi al termine della cui erogazione gli esperimenti hanno tradito l’attesa di consolidarsi.
Una corretta valutazione delle esternalità costituisce invece non un alibi, ma una solida argomentazione per una rivisitazione dei costi della filiera.