Le proposte dello studio “Autostrade del mare 2.0”, realizzato dal centro studi per la mobilità Isfort, prende le mosse dai deludenti risultati del primo progetto Adm che, a fronte di circa 400 milioni di euro spesi in sei anni in Italia, è riuscito a imbarcare appena il 5% del traffico merci italiano, per lo più su tratte “obbligate”, cioè verso le isole.
Se a questo si aggiunge che dal prossimo anno quasi di sicuro il meccanismo dell’ecobonus dovrà essere accantonato per la bocciatura della Commissione Europea che lo ha prima sospeso, in quanto aiuto di stato, e poi sbloccato, ma solo per le difficoltà congiunturali, è chiaro che ci troviamo in una situazione propizia per una svolta.
Le strategie messe a punto dall’Unione Europea tendono ad indirizzare la rilevante crescita del trasporto merci, solo in parte rallentata dalla crisi di questi ultimi anni, sempre più su vettori alternativi al trasporto su gomma per evitare la congestione stradale e contenere le emissioni negative generate dai camion.
Elementi fondamentali di queste scelte sono: una forte integrazione tra le reti modali per migliorare l’efficienza e l’efficacia degli spostamenti multimodali; l’incentivazione delle modalità di trasporto alternative a quella stradale, quali il trasporto marittimo, tramite il potenziamento dei servizi di Autostrade del Mare per contenere le percorrenze dei camion su strada; il potenziamento e l’incremento dell’efficienza delle interconnessioni ferroviarie con i porti al fine di creare una rete multimodale integrata in grado di assorbire le quote crescenti degli scambi commerciali internazionali del continente.
La Commissione Trasporti del Parlamento europeo, il 18 dicembre 2012, ha approvato la relazione sullo sviluppo della rete trans-europea dei trasporti e la stessa Commissione, a seguito delle TEN-T Days di Tallin nel 2013, ha definito, con maggior attualità e puntualità, quelli che sono divenuti gli obiettivi strategici ed inderogabili dei Paesi membri i quali devono orientare i loro sforzi per creare e gestire “reti essenziali” articolate su corridoi in grado di sostenere volumi elevati di traffico di passeggeri e di merci attraverso reali combinazioni multimodali, regole comuni e sinergie internazionali.
Si tratta delle arterie dei trasporti nel mercato unico europeo per lo sviluppo del quale dal 2014 al 2020 l’Unione Europea investirà fino a 26,25 miliardi di euro.
È chiaro che in quadro come questo, pur non risultando tra le primissime priorità, giocano un ruolo significativo le Adm che, in una visione logistica intermodale, dovranno favorire lo sviluppo della navigazione anche su rotte brevi e garantire l’interconnessione delle flotte con gli approdi marittimi, le vie navigabili interne e più in generale con quella che viene definita la “rete globale”.
Il combinato marittimo (Ro-Ro), ma anche il combinato terrestre (TCNA e ROLA1) rappresentano in ambito europeo soluzioni di trasporto assolutamente competitive ed in grado di contribuire significativamente alla riduzione del trasporto tutto-strada.
Incentivazioni: dal programma Marco Polo all’ecobonus
Uno dei principali strumenti di attuazione degli orientamenti strategici citati è senza dubbio il Programma Marco Polo, che dal 2003 ad oggi ha costantemente sostenuto lo sviluppo di iniziative concrete volte ad attivare servizi stabili di trasporto intermodale.
Nell’arco dei primi dieci anni di attività, il progetto ha finanziato circa 200 progetti realizzati da oltre 700 aziende (per metà di piccola e media dimensione), mentre circa 4 milioni di spostamenti via camion (con una percorrenza media di 1.000 Km) sono stati dirottati su altre modalità di trasporto.
In ambito nazionale i principali passaggi di questo ampio percorso sono scanditi da una serie di provvedimenti normativi che ne avrebbero dovuto agevolare l’implementazione, tra i quali possono essere menzionati: il sostegno alle imprese marittime e alle Autorità Statali finalizzate allo sviluppo dello Short Sea Shipping (legge n. 413/1998, legge n. 166/2002); il potenziamento di impianti e piattaforme logistiche portuali (Legge Obiettivo n. 443 del 2001) con un rilevante utilizzo di tecnologie e applicazioni informatiche; l’istituzione dell’Ecobonus, ovvero l’incentivo all’autotrasporto per il trasferimento di traffico dal tutto strada al combinato strada-mare (legge n. 265/2002) l’istituzione della Società Rete Autostrade Mediterranee SpA, per promuovere e coordinare a livello nazionale le azioni europee e definire, così, il Master Plan Mediterraneo del sistema integrato di trasporto Autostrade del Mare finanziato dalla legge n. 311/2004.
Dopo più di quindici anni dall’avvio del progetto Adm in Italia, come d’altronde nel resto d’Europa, si va affermando la convinzione che nonostante gli incentivi erogati e la notevole disponibilità di approdi e di navi, il combinato strada-mare sia stato utilizzato dagli operatori del trasporto solo nelle cosiddette tratte obbligate, ovvero negli spostamenti che hanno come origine o destinazione le aree insulari.
Tra le linee attive a livello nazionale nessuna infatti prevede un collegamento tra porti della penisola (neanche come tappa intermedia) e soltanto due linee possono considerarsi sostitutive di lunghi tratti stradali di attraversamento Nord-Sud dell’Italia: Genova-Termini Imerese e Ravenna-Catania.
Inoltre le linee di cabotaggio nazionale sono concentrate nel bacino tirrenico (dove sono Sicilia e Sardegna) e l’unica linea adriatica è, per l’appunto, solo quella che collega Ravenna a Catania.
L’Adriatico invece raccoglie quote significative di traffico del cosiddetto Short Sea Shipping mediterraneo assicurando il collegamento con i porti dell’area balcanica, della Grecia e della Turchia.
Nel bacino tirrenico tale traffico è consolidato con alcune linee di connessione con i porti della penisola iberica (Valenzia e Barcellona) ed è in via di consolidamento con il resto del Mediterraneo tramite i porti del Nord Africa (nonostante le tensioni politico sociali dell’area).
L’ostacolo principale che ne ha impedito il successo è sostanzialmente lo scarso controllo da parte degli operatori del trasporto sul complesso dei costi che tale soluzione deve sopportare. Solo il 5% del costo è controllato dalle imprese di trasporto, mentre circa il 25% è, ad esempio, sotto la responsabilità delle imprese terminaliste portuali e terrestri.
Conclusioni e rilancio delle Autostrade del mare
In altre parole l’erogazione di un contributo non è sufficiente a modificare un modello logistico: serve un complesso di interventi di carattere organizzativo, di servizio e, dove necessario, infrastrutturale che trasformino la sede portuale, da un punto di imbarco e di sbarco di camion, in un nodo intermodale in cui le modalità alternative alla gomma (trasporto marittimo e ferroviario), possano integrarsi in modo efficace ed efficiente con l’autotrasporto.
Le linee di combinato marittimo attualmente disponibili sono molto lontane da questo modello di servizio.
Tali servizi sono svolti all’interno di imbarcazioni miste passeggeri e merci (RO-PAX), in alcuni casi stagionali e legate ai flussi turistici, quindi difficilmente conciliabili con le esigenze delle moderne catene logistiche.
Il combinato marittimo, pur rappresentando una valida alternativa, non può sostituire il tutto strada. Secondo una recente indagine condotta nell’ambito dell’approfondimento sul combinato marittimo propedeutico alla stesura del Piano nazionale della Logistica, circa 7 spostamenti su 10 realizzati in Italia rientrano in questa tipologia di traffico, ovvero non sono trasferibili sul combinato marittimo.
Gli altri 3 invece potrebbero farlo, ma spesso ciò non accade per le seguenti motivazioni: costo del trasporto marittimo; ridotta frequenza dei servizi di linea; assenza di collegamenti; tipo di servizio offerto (solo strada).
Il rilancio delle Adm richiede pertanto l’apertura di un dialogo strutturato con le Istituzioni centrali, locali e gli altri attori pubblici e privati di riferimento del comparto industriale al fine di elaborare ed implementare un progetto pilota per la maggiore efficienza, produttività, sicurezza e sostenibilità dei trasporti marittimi nell’ambito dei piani nazionali ed europei di contenimento e prevenzione dell’inquinamento atmosferico e dei cambiamenti climatici.
In questo senso, è più che mai urgente avviare la sperimentazione dell’adozione del gas naturale liqueffatto (LNG) a bordo delle navi impegnate nel cabotaggio, per poi favorire la definizione degli ulteriori interventi relativi e conseguenti in materia di adeguamenti infrastrutturali dei porti ed allo sviluppo di progetti di automazione di alcune attività di scalo.
A tale proposito potrebbe essere rivista la logica dell’incentivo, calibrandone l’intensità ed il target in base alla necessità, oltre che di trasferire i camion dalla strada alle vie marittime, anche di attivare servizi efficienti ed affidabili.
Nel quadro di un approccio come questo, i fondi destinati all’incentivazione delle Adm potrebbero essere destinati alla realizzazione di progetti operativi finalizzati all’attivazione di servizi stabili promossi da operatori complementari tra loro ed in grado di assicurare servizi intermodali completi vincolando il supporto economico pubblico, sul modello del programma europeo Marco Polo, all’effettiva quantità di traffico trasferito.
Si tratta di un cambio sostanziale di strategia che fino ad oggi è stata quella di favorire il riequilibrio modale sovvenzionando il costo diretto superiore del trasporto marittimo rispetto al tutto-strada a quegli autotrasportatori che avessero rinunciato alla strada in favore del mare.
È necessario d’altra parte costruire una politica efficace di sostegno al combinato marittimo in grado di promuovere linee Ro-Ro realmente sostitutive al tutto-strada (combinato marittimo alternativo).
Il complesso degli spostamenti legati agli scambi Nord-Sud oggi veicolati tramite camion rappresenta un mercato potenziale di più di 12 milioni di tonnellate di merce, oltre 700 mila camion che viaggiano su lunghe percorrenze (oltre 500Km).
Ipotizzando che ciascun camion compia mediamente per i trasferimenti dalle regioni del Nord a quelle del Sud circa 700Km, si può stimare che: la coda virtuale generata da questo traffico corrisponda a circa 8.000 Km; l’energia necessaria per farli camminare sia pari a 2,4 miliardi di KWh; le emissioni nell’aria provocate da tali spostamenti si aggirino intorno a mezzo milione di tonnellate di anidride carbonica.
Per avere un ordine di grandezza, la distanza tra l’estremo nord (Alpi) e l’estremo sud (Lampedusa) d’Italia è di 1.240 Km, la lunghezza complessiva delle coste (insulari e peninsulari) si attesta a 7.480 Km, mentre le famiglie e le imprese di una città come Firenze nell’arco di un anno consumano circa 1,5 MLD di KWh di energia elettrica e immettono nell’aria circa 2,5 milioni di tonnellate di CO2.
L’opportunità di riorganizzare gli spostamenti che oggi avvengono sul tutto strada, attraverso il combinato marittimo, consentirebbe – nel tratto sostitutivo via mare – di ridurre il consumo energetico di poco meno del 90% e di ridurre le emissioni ben oltre il 90%.