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Le cooperative: fra tradizione e ruoli che mutano (Parte I).
Nascita e ruolo delle cooperative: ne abbiamo parlato con Luca Mazzali, Fabrizio Possenti e con Cristina Bazzini.


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Le cooperative fra tradizione e ruoli che mutano (Parte I).

28 Giugno 2012

Premessa


In questa lunga intervista, nella prima parte ripercorreremo le ragioni storiche del cooperativismo e l’imprescindibile ruolo sociale e produttivo delle cooperative nella ricostruzione post bellica del nostro Paese, mentre nella seconda, di prossima pubblicazione, ci occuperemo più nel dettaglio dei rapporti, tradizionalmente molto stretti, tra cooperative e logistica.

Magari per scoprire che i valori solidaristici e democratici, alla base della ricostruzione di una società civile e produttiva dopo gli anni terribili della dittatura fascista, potrebbero fornire valide risposte anche alla crisi odierna.

Ne abbiamo parlato con Luca Mazzali, di CFT Logistica, Fabrizio Possenti di CoSerCoop e con Cristina Bazzini di Colser Coop.

Intervista parte I


Quali furono i presupposti per la nascita delle cooperative di produzione e lavoro nel secondo dopoguerra?

Mazzali: Il presupposto centrale sta nell’art. 45 della Costituzione italiana (La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.
La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità), che viene recepito dalla legge Basevi, approvata il 14 settembre 1947, che sanciva sia i principi solidaristici e democratici e le clausole di certificazione.
Ma la spinta veniva dalla volontà degli uomini di costituire imprese che si basavano sulla partecipazione, condivisione e solidarietà.
Gli anni ’50, la guerra fredda e la successiva divisione del mondo in due blocchi contrapposti smorzarono quasi istantaneamente le illusioni di un rinnovamento sociale ed economico.
Non furono anni facili per il movimento cooperativo, spesso al centro di discriminazioni da parte dei governi e vittima di un vero e proprio ostracismo ma, per fortuna, quei soci si erano formati nella guerra partigiana e la volontà di riscatto era più forte degli ostacoli politici e normativi.

Possenti: C’è da dire che la cooperazione in Italia seguiva sin dal principio quello che era l’andamento europeo circa i moti liberali esistenti in tutta Europa.
I primi avvisi della cooperazione istituzionalizzata si hanno con le norme contenute nel Codice di commercio del 1882, le quali stabilivano il principio del voto per testa, la variabilità del capitale sociale, il divieto della cessione delle azioni a terzi senza il consenso della maggioranza, il limite – di L. 5.000 – del possesso delle azioni pro capite.
Con la legge Basevi del 1947 si definiva la nuova veste giuridica della cooperazione attribuendo estese prerogative alle associazioni di rappresentanza riguardo alla vigilanza e recuperando alcune norme esistenti nella precedente legislazione in materia di appalti e relativamente alle commissioni provinciali e centrali.
Il decreto legge, infine, fissava a 9 il numero minimo dei soci e definiva i requisiti mutualistici necessari per usufruire dei benefici fiscali.
La riforma del 1971, poi, elevava a 2 milioni di lire il limite massimo della partecipazione di ciascun socio e incrementava i benefici fiscali.
La ripresa, tra spontaneismo e tradizione, fu comunque intensa.
Nel 1948le società erano circa 17.000, cioè intorno al livello del primo dopoguerra, con 4 milioni di soci, un capitale di 3 miliardi e riserve per 2,5 miliardi di lire.
La cooperazione di consumo confermava la base sociale più ampia, mentre il primato del numero delle società apparteneva al settore della produzione e del lavoro arrivando il 5 maggio 1945 a ricreare la Confederazione cooperativa italiana.
Negli anni successivi la cooperazione vede una diffusione sempre più elaborata e complessa, la sua diffusione è dichiarata e oramai fondamento della società italiana.
Le organizzazioni centrali sono diventate complessi organismi di rappresentanza polisettoriale con ambizioni manageriali, in una fase di transizione sul piano organizzativo e gestionale resa ancora più urgente dalla riduzione della loro omogeneità interna e da una sorta di crisi di identità dell’impresa cooperativa, riguardante i suoi requisiti mutualistici e di partecipazione democratica del corpo sociale.
La questione più rilevante, ma di ardua soluzione, sembra essere oggi quella di conciliare la ricerca di una maggiore efficienza con il rinnovamento del patto associativo tradizionale, e l’incremento della produttività e della competitività sul mercato con la volontà di continuità organizzativa e di perseguimento dell’utilità sociale.

Bazzini: Occorre innanzitutto ricordare che la prima cooperativa della storia era una cooperativa di consumo la cui nascita risale al 1844, quando nella cittadina inglese di Rochdale, nei pressi di Manchester, una trentina di tessitori minacciati dalla fame danno vita, sotto la guida di Charles Howart, al primo spaccio cooperativo, passato alla storia con la denominazione di “Società dei Probi Pionieri”, con il fine di “migliorare la situazione economica e sociale dei soci”.
Riferendoci alla cooperazione di produzione e lavoro, già nel 1848 in Francia, pensatori come Bouchez e Blanc diffondono l’idea di statuti societari che prevedevano la destinazione dell’avanzo di esercizio per l’80% al lavoro e per il restante 20% ad accumulazione indivisibile.
Sulla scorta di queste idee viene fondata la prima cooperativa di lavoro, la “Società operaia di produzione uniformi”, finalizzata, appunto, alla produzione di uniformi militari.
Blanc darà inoltre vita agli “Ateliers Nationaux”.
In Italia, un Paese di tarda industrializzazione, la cooperazione di produzione e lavoro fu promossa e si diffuse soltanto nel secondo dopoguerra nell’ambito dei due maggiori filoni di pensiero: quello cattolico-sociale e quello socialista-operaista.
Nella difficile fase della ricostruzione post bellica, quando non c’erano soldi, ma ampie disponibilità di forza lavoro, il fine rimaneva il medesimo: emancipare i lavoratori, i braccianti e gli operai ed elevare le loro condizioni sociali e economiche tramite la ricerca e l’offerta di occasioni di lavoro, a condizioni migliori rispetto a quelle di mercato.

In che cosa le cooperative si sono differenziate rispetto alle restanti aziende?


Mazzali: Nella cooperativa il socio è lavoratore ed imprenditore nello stesso momento: elegge il gruppo dirigente, approva gli statuti ed i regolamenti, approva il bilancio e le strategie aziendali.
Questa partecipazione diretta ed interessata del lavoratore alle scelte si è rivelata fattore vincente nello sviluppo dell’impresa cooperativa.
Fondamentale rimane, però, l’intergenerazionalità del patrimonio; il socio è “padrone” in ragione della quota sottoscritta e per tutto il periodo di permanenza in cooperativa, quando esce rientra in possesso della quota, del TFR e delle altre eventuali provvidenze determinate da statuto o regolamento.
Il patrimonio rimane in capo alla cooperativa per i soci lavoratori che verranno e che ne dovranno garantire la conservazione e lo sviluppo per i successivi.

Possenti: La cooperativa è una società formata da persone fisiche o giuridiche caratterizzata dallo scopo mutualistico, cioè dall’intento di fornire beni, servizi e occasioni di lavoro ai soci, a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle che otterrebbero dal mercato.
I vantaggi possono consistere in una maggiore retribuzione, oppure nell’acquisto di beni a un prezzo più basso.
A differenza di quanto accade in altre forme societarie, l’accumulazione del capitale è destinata prevalentemente ai reinvestimenti dell’azienda: è indivisibile, e i soci sono i suoi gestori.
Una cooperativa è un’impresa che vede la partecipazione attiva dei soci alle decisioni imprenditoriali, in cui tutti incidono ugualmente sulle scelte dell’impresa, perché in essa non esiste una forte distinzione gerarchica.
La mutualità e solidarietà interna, la partecipazione economica dei soci, una struttura democratica, un’apertura e un principio volontariato, un legame con il territorio locale, la solidarietà interna ed esterna sono le caratteristiche fondanti una cooperativa.

Bazzini: È fondamentale evidenziare la loro caratterista distintiva, ieri come oggi: le imprese di capitale hanno come fine principale la remunerazione del capitale investito, mentre le cooperative hanno come “missione” quella di garantire ai soci lavoratori un’occupazione alle migliori condizioni possibili e di remunerare al meglio le loro prestazioni mutualistiche.
Esistono nel sistema economico svariate forme di impresa, che hanno pari dignità.
Ciò che però si può osservare, e a volte misurare, è la ricaduta sul sistema sociale dell’attività imprenditoriale e la responsabilità sociale che l’impresa dimostra di assumersi nei confronti degli stakeholder interni ed esterni.
Sebbene l’impresa capitalistica classicamente intesa produca un certo grado di utilità sociale nel proprio agire, la forma di impresa cooperativa contiene intrinsecamente in sé, se fedele ai propri valori, il fine di utilità sociale.
Nello specifico, il nostro Gruppo Cooperativo, nello sviluppare la propria azione sul territorio, si propone di migliorare la qualità della vita delle persone siano esse clienti o lavoratori, siano esse raggiunte attraverso servizi a loro direttamente rivolti o attraverso servizi rivolti alle aziende cui loro appartengono. Il Gruppo COLSER-Auroradomus concorre perciò al benessere della collettività attraverso un concetto di lavoro fondato su relazioni capaci di valorizzare l’identità e la soddisfazione della persona, proponendosi di partecipare attivamente, attraverso le più ampie sinergie, alla costruzione di innovativi modelli di gestione, favorendo lo sviluppo territoriale di occupazione qualificata e da qualificare, nel rispetto dei principi cooperativi e nello spirito dei valori fondanti la cooperazione.
Ritiene che i cambiamenti normativi degli ultimi anni, che di fatto hanno equiparato le cooperative alle altre aziende, abbiano fatto bene o male al mondo cooperativistico? Per quali motivi?


Mazzali: Purtroppo questi provvedimenti sono improntati ad un allineamento “punitivo” delle cooperative con le altre imprese di capitale, senza tenere conto della particolarità che presenta la cooperativa, in cui le quote non sono cedibili e il patrimonio è indivisibile, e nel caso di chiusura dell’impresa, quest’ultimo non termina nelle mani dei soci, ma nel fondo nazionale per la cooperazione.

Possenti: Sostanzialmente non hanno prodotto alcun beneficio.
Le cooperative già prima della normativa avevano dei regolamenti interni strutturati e democratici, dove si teneva in estrema considerazione il ruolo del socio ed il suo apporto all’interno della cooperativa.
Forse l’estrema equiparazione del socio al dipendente ha irrigidito in maniera significativa le strutture organizzative, producendo di fatto una lentezza nel rispondere ai cambiamenti del mercato.
In passato la flessibilità gestionale aveva permesso un’estrema reattività delle cooperative ai continui adeguamenti del mercato.
Forse se a seguito dei cambiamenti normativi ci fosse stato un ferreo controllo di regolarità sugli attori interessati, lo scenario di oggi si sarebbe presentato più trasparente.

Bazzini: Il riconoscimento della funzione sociale – oltre che economica – della cooperazione sancito dalla Costituzione dipende dallo scopo mutualistico, dall’assenza di fini di speculazione privata, dall’organizzazione democratica delle cooperative.
È per questo che la legge ha storicamente riservato alle cooperative il godimento di particolari agevolazioni di carattere tributario, finanziario e previdenziale.
Ciò nonostante, negli ultimi dieci anni la cooperazione è stata “presa di mira” a più riprese – e strumentalizzata per motivi ideologici e politici – dal punto di vista del regime fiscale.
Con questo atteggiamento si sta snaturando non solo un principio costituzionale, ma si è punita una forma di impresa solidaristica che nel corso della crisi ha continuato ad investire, a difendere il lavoro, il reddito dei soci ed il potere d’acquisto delle famiglie, e che addirittura è cresciuta in termini di occupazione anche in questi ultimi difficili anni, scegliendo di sacrificare la redditività.
Venendo gradatamente meno tali agevolazioni, molte cooperative hanno ritenuto opportuno percorrere facili scorciatoie quali, ad esempio, la finanziarizzazione spinta, che ne hanno snaturato la loro funzione ed identità.
D’altro canto la riforma del diritto societario e l’attuazione delle legge sul socio lavoratore avrebbero dovuto fornire alle cooperative nuovi ed ulteriori strumenti per ammodernare il proprio ruolo di attore economico e sociale, volto a favorire l’innalzamento del grado di democrazia economica e per consentire loro di meglio competere sul mercato alla luce dei cambiamenti epocali che la società sta attraversando.
Le aspettative delle due riforme, invece, sono in gran parte andate deluse, in particolare quella sul socio lavoratore.
La pedissequa e meccanica estensione delle norme derivanti dai contratti collettivi di lavoro alla sfera del rapporto tra socio e cooperativa sta determinando l’impossibilità di gestire con la necessaria elasticità le modalità attraverso cui il socio presta la sua opera, con il rischio di una omologazione della cooperativa alle altre forme d’impresa.
Dalla valutazione di tutti gli elementi può uscire una modalità di rapporto tra cooperativa e socio che non sia basata solo su aspetti economici.





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