Come reagiremmo oggi se, dopo aver ordinato in un ristorante un bel piatto di spaghetti, scoprissimo che quest’ultimi, pur del tutto simili per aspetto e sapore a quelli che siamo soliti gustare, non derivano dal grano ma sono il prodotto di una sintesi di laboratorio? Impossibile che questo accada?
Non è il caso di esserne troppo sicuri visto che in questo senso gli studi degli ultimi anni hanno portato a scoperte importanti.
Presto le usuali tecniche di conservazione degli alimenti verranno sostituite da altre più efficaci e in un futuro lontano, ma non troppo, le bistecche che mangeremo molto probabilmente saranno prodotte dalle cosiddette macchine da nanotecnologie.
Ma chi si occupa di logistica cosa ne pensa di tutto questo?
Un gran bene, mi auguro, dato che la gestione dei prodotti deperibili è stata da sempre motivo di grattacapi per chi, come i logistici appunto, deve adoperarsi giorno dopo giorno affinché gli alimenti arrivino al consumatore finale freschi e ben conservati.
Che complicata la logistica degli alimenti!
Ma perché agli occhi dei gestori i prodotti alimentari appaiono così “difficili”?
La colpa è, senza alcun dubbio, da attribuire alle loro indiscusse peculiarità, o meglio ai loro numerosi “difetti”.
Anche se alcuni più e altri meno infatti, gli alimenti sono per lo più costituiti da beni:
– di prima necessità, ossia prodotti che ricoprono un ruolo basilare nella dieta dei consumatori. Essi non devono quindi assolutamente mancare sugli scaffali dei supermercati perché, in caso contrario, il cliente si rivolgerà alla concorrenza con gravi possibili conseguenze per le vendite attuali e future dell’azienda di fiducia (abbandono definitivo del consumatore conquistato dalla nuova marca, perdita d’immagine, …);
– deperibili. “Mai andare in stock-out, piuttosto un eccesso di scorte”, questo è dunque il primo imperativo per un logistico impegnato nella gestione di prodotti di prima necessità. Ma se questi prodotti, oltre ad essere necessari, sono pure deperibili? Allora l’imperativo precedente va di certo rivisto dal momento che quando si parla di beni con una self live breve (a volte brevissima), un esubero di scorte costituisce la causa prima dell’inutilizzo delle medesime per invecchiamento.
– spesso stagionali. Un ulteriore cruccio per il logistico perché è di certo più semplice gestire un bene che si vende con regolarità tutto l’anno piuttosto che quello prodotto o venduto solo in certi mesi prestabiliti;
– di scarso valore. Questa caratteristica, propria di molti alimenti, rende ancor più impegnativo il ruolo del logistico perché lo costringe, povero lui (che destino crudele!), ad operare al contempo con la massima rapidità ma ai minimi costi.
Tutti a tavola: il pranzo high tech è servito!
Un futuribile piatto high tech è davvero solo una fantasia assurda? E allora gli additivi chimici contenuti oggi nei cibi? Pensiamo ad esempio ad un gelato alla fragola.
Se crediamo che il sapore di fragola sia dato dal frutto fresco contenuto in esso, ci sbagliamo di grosso: il gelato è stato semplicemente “insaporito” con uno dei tanti profumi di sintesi creati in laboratorio.
A questo proposito si pensi che la Givaudan, il più grande produttore mondiale di aromi naturali, sintetizza circa 20.000 profumi artificiali di cui, solo di fragola, addirittura 300.
Ma in quale direzione sta procedendo attualmente la ricerca?
Senza dubbio l’attenzione degli scienziati è oggi maggiormente rivolta alle nuove tecniche di conservazione.
Considerata superata la pastorizzazione, gli studiosi hanno messo a punto nuovi sistemi, quali la lavorazione ad alte pressioni e l’uso dei campi magnetici, che, bloccando la proliferazione dei batteri senza influire sul sapore dell’alimento, riescono a prolungare non poco la vita commerciale di un prodotto.
Molto si discute anche di processi produttivi in “atmosfera modificata” e di “packaging attivo”: il risultato è che un insalata, lavata con particolari prodotti e confezionata in involucri a base di specifiche sostanze chimiche, può conservarsi anche per un intero mese.
E non è finita. I ricercatori della Kraft, nota multinazionale alimentare, sono in procinto di lanciare il cosiddetto “packaging intelligente”: grazie ad alcuni microsensori, le confezioni saranno presto in grado di accorgersi se qualcosa all’interno del prodotto è mutato e, se ciò è avvenuto, si attiveranno per cercare di ristabilire le condizioni ottimali o, in caso di insuccesso, avviseranno il consumatore del pericolo.
Ben vengano le nuove tecniche di conservazione ma parlare addirittura di alimenti creati in laboratorio non è forse un po’ azzardato? Forse, ma questo è quello che fanno le cosiddette macchine da nanotecnologie che sono in grado di intervenire sulla materia a livello molecolare e che rappresentano la vera sfida del futuro.
Grazie ai cibi artificiali i logistici non dovranno più combattere con la deperibilità e la stagionalità di alcuni prodotti della terra (pensiamo ad esempio agli ortaggi) ed il consumatore potrà acquistare la sua frutta e verdura preferita tutto l’anno a prezzi vantaggiosi (produrre un chilo di vaniglia con metodi naturali costa oggi 4.500 sterline contro le sei sterline necessarie se si utilizzano sistemi artificiali).
Tutto perfetto o quasi. Ma siamo davvero culturalmente pronti ad accettare una tale rivoluzione alimentare? Probabilmente non ancora, ma mi sia concessa un’ultima considerazione: in un’epoca dove sempre più spesso siamo costretti a vivere pericoli alimentari come la mucca pazza o la tanto temuta influenza aviaria e dove le risorse naturali sono insufficienti per sfamare una popolazione mondiale in continua crescita, produrre artificialmente i cibi potrebbe costituire una reale alternativa da non escludere o sottovalutare a priori.