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L'interporto secondo Luigi Capitani, AD di CePIM
In concomitanza con il roadshow organizzato dalla UIR per focalizzare l'attenzione sul tema dell'intermodalità, siamo andati a fare una chiacchierata con Luigi Capitani, amministratore delegato di CePIM. "Negli interporti c'è molto meno grigiore di quanto si creda".


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L’interporto secondo Luigi Capitani, AD di CePIM

13 Dicembre 2010


Premessa
In concomitanza con il roadshow organizzato dalla UIR, che ha preso il via lo scorso 2 ottobre dall’interporto di Rivalta Scrivia, per proseguire il 30 ottobre all’interporto di Trento, e spostarsi poi a Rovigo, Padova e Verona, siamo andati a intervistare l’Amministratore Delegato di CePIM, la società che gestisce l’interporto di Parma.

Luigi Capitani, ingegnere chimico originario di Livorno, approda in CePIM a fine gennaio 2009 dopo l’esperienza di Responsabile approvvigionamento Refining & Marketing di ENI.

Da pochi mesi è anche presidente di InLog, società fondata dall’interporto di Parma nel 2006 con altri sei interporti italiani (Bologna, Padova, Verona, Jesi, Rivalta Scrivia e Livorno) per promuovere la progettazione e la realizzazione di strutture e servizi logistici al di fuori del territorio italiano.

Ringraziandolo per la disponibilità, proponiamo ai lettori di Logisticamente.it il risultato della nostra chiacchierata, invitandoli a scoprire che, per usare le parole di Luigi Capitani, «negli interporti c’è molto meno grigiore di quanto si creda».

La parola a Luigi Capitani
D: L’interporto di Parma: ce lo presenta in poche parole, enucleando ciò che lo caratterizza?

R: Dal punto di vista storico, una delle peculiarità dell’interporto di Parma è che si tratta di uno dei primi, visto che venne realizzato nel lontano 1975.
Tra l’altro, pochi sanno che è stato realizzato su terreni di proprietà dell’ENI, poi affidati al Comune e alla Provincia di Parma per sviluppare il progetto dell’interporto: a quei tempi costruire un interporto, e costruirlo a Parma, fu un’idea molto intelligente e lungimirante per la logistica.

Un’altra caratteristica è la strategicità: questo interporto è stato realizzato al centro della pianura Padana, e in un raggio di 250 km si produce l’80% del PIL nazionale.

Infine, si tratta di uno dei pochi interporti italiani in prevalenza privati, perché non è ad azionariato pubblico come quasi tutti gli altri: con una presenza insolita per la logistica, che è ENI, dovuta al fatto che Mattei comprò questi terreni per fare delle esplorazioni alla ricerca di gas metano.
Terreni che poi furono restituiti alle autorità locali facendone qualcosa di concreto.

D: La seconda domanda è un po’ una conseguenza della prima, visto che riguarda ancora le peculiarità del territorio.
Parma è sempre stata associata al settore food: anche in riferimento al nuovo accordo con Catone Group, l’interporto rispecchia questa specificità?

R: Sempre a proposito di caratteristiche peculiari, come appunto si diceva prima, è che questo interporto non è votato a un particolare tipo di attività logistica, ma i settori sono ben bilanciati: c’è la parte alimentare, quella chimica, petrolifera, meccanica.

Questo è un aspetto positivo perché, se è vero che nei periodi di crisi come questo soffrono tutti i settori, è altrettanto vero che un’attività differenziata costituisce un vantaggio.

Dal punto di vista del settore alimentare, l’accordo con Catone Group è molto importante perché verrà sviluppato in seno all’interporto un ulteriore volume di attività integrate che riguarderanno sia la parte di magazzinaggio sia la parte dei trasporti ferroviari, con un incremento sui treni del 20-30%.

D: Un’ultima domanda sempre inerente ai rapporti fra CePIM e territorio.
Ho saputo dell’accordo fra CePIM e MUP, casa editrice parmense che promuove, fra le altre cose, la cultura locale, per l’edizione di alcuni volumi della Biblioteca Palatina.
Oltre a farVi i complimenti per l’iniziativa, Le chiedo se e come venga recepito il ruolo di CePIM dai cittadini, e se questa iniziativa rientri in una strategia di visibilità per l’interporto.

R: Mi è sempre sembrato giusto, ovunque io abbia ricoperto ruoli di coordinamento, realizzare qualcosa per il territorio che andasse al di là di ciò che riguarda le attività e l’indotto economico, e aggiungere una connotazione culturale: le aziende non possono vivere solo di numeri, ma devono occuparsi di aspetti sociali e culturali.

Questa è una mia idea personale; il fatto poi che si possa dare una visibilità migliore e diversa alla società per cui svolgo tale attività è certamente importante: si è portati a pensare che qui ci sia solo cemento in una landa desolata, e invece c’è tanta gente che ha un cuore pulsante e un cervello pulsante, e molto meno grigiore di quanto si creda.

D: Torniamo ora a parlare di logistica. Abbiamo detto che nel raggio di 250 km dall’interporto di Parma si produce l’80% del PIL nazionale.
Cosa può offrire l’interporto, e cosa gli manca?

R: Preferirei parlare di quello che manca, visto che in sé l’interporto può offrire tutto, considerate le strutture e la posizione geografica.
Quello che manca all’interporto di Parma credo sia la valenza internazionale: un interporto, come mission non può non considerare che i traffici futuri saranno non soltanto quelli della provincia o della regione di appartenenza, ma occorre avere rapporti di tipo internazionale, e non mi riferisco solo all’Europa, ma anche ad altre aree a livello mondiale.

Per fare questo, sarebbe necessario lavorare sullo sviluppo di due fattori: il primo è un raccordo reale con la parte cargo, ovvero la parte aerea; il secondo consiste in un coordinamento concreto con le attività portuali, in particolare con La Spezia

Questo negli accordi c’è, nella realtà invece le infrastrutture e le burocrazie che si interpongono fra Parma e La Spezia costituiscono un grosso ostacolo: ci stiamo adoperando su tutti i tavoli, anche se lo sviluppo reale delle iniziative ha una velocità inferiore alle attese.

D: A proposito di infrastrutture e collegamenti, nell’edizione di Report di domenica 1 novembre si è dedicato ampio spazio alla linea Pontremolese.
E’ stata messa in evidenza l’assenza di un progetto che coordini, in modo organico, il raddoppiamento del binario su tutta la tratta, e il conseguente prevalere di richieste locali, che spesso mutano al mutare del colore delle amministrazioni quando non delle esigenze dei singoli amministratori.
CePIM, stante anche quanto riportato nell’oggetto sociale in merito a un’azione coerente «con gli obiettivi fissati dalla Regione Liguria in materia di integrazione della portualità ligure con i sistemi infrastrutturali terrestri di trasporto», che ruolo può avere oggi nel sostenere e contribuire a coordinare un progetto davvero utile (e ormai necessario) allo sviluppo del Paese, evitando che ci si vada a disperdere nei rivoli dei particolarismi locali?

R: Come dicevo prima, dal nostro punto di vista stiamo facendo tutte le azioni possibili.
In ogni caso, credo che il Ministero dei Trasporti abbia tutta la sensibilità necessaria per realizzare quest’opera: la Pontremolese è tornata in auge anche grazie al fatto che l’attuale Ministro [Altero Matteoli, nato a Cecina n.d.a.] ha origini toscane, ed ha ben presente la necessità di un collegamento ferroviario fra la parte tirrenica e l’entroterra: e mi riferisco non solo a Parma, ma anche a Verona e alla TiBre, che è stata approvata e rende ancor più necessario il collegamento fra area tirrenica e entroterra, e quindi l’Europa.

La mia impressione personale è che ultimamente ci sia una grande attenzione ai collegamenti che riguardano quest’area, fatto che in precedenza, forse anche per oggettive difficoltà inerenti all’orografia del terreno, era stato trascurato, privilegiando forse di più gli investimenti nella parte est della regione.

CePIM quindi sta cercando di fare tutto il possibile, gli altri attori hanno mostrato sulla carta la volontà di portare a termine il progetto, poi però ci vuole qualcuno che coordini le forze in campo: un altro mio parere personale è che su infrastrutture di ampio respiro e di valenza strategica nazionale come questa, fatta salva la condivisione e l’ascolto delle istanze locali, una volta approvata l’opera occorrerebbe un livello decisionale superiore per realizzare nei tempi tecnici corretti l’opera.

D: Parlando sempre di infrastrutture, si è appena concluso il bando per l’appalto dell’elettrificazione della dorsale ferroviaria interporto-Castelguelfo: quando verranno ultimati i lavori, e che risultati si attende?

R: I lavori dovrebbero essere completati entro due anni. Questo farà sì che i treni, anziché doversi fermare a Castelguelfo e cambiare motrice per poter entrare all’interporto, entreranno direttamente con una tratta unica, con ovvi risparmi di tempo e denaro, visto che si tratta di manovre laboriose e costose.

D: Andando oltre il discorso specifico sull’interporto di Parma e parlando più in generale, la Legge n. 240 del 1990 reca una definizione precisa di cosa siano gli interporti e li individua come principali attori per lo sviluppo dell’intermodalità: a distanza di quasi vent’anni, Le sembra che gli interporti siano stati concretamente investiti di questo ruolo?

R: Io dico di sì, se ci riferiamo agli interporti in sé. Il condizionamento a tutto ciò deriva dal fatto che, parlando di intermodalità e di logistica, avrebbero dovuto essere ridotte le realizzazioni di pseudointerporti.

Mi spiego meglio: attorno agli interporti c’è un brulicare di attività di logistica più o meno conglomerata che fa perdere a volte il senso della valenza dell’interporto, che è una struttura legata alla ferrovia, e quando c’è un aeroporto vicino alle attività cargo, senza contare tutta una serie di servizi che solo un interporto può offrire.

Il secondo fattore che sta limitando questa valenza è che il trasporto merci su rotaia, una delle caratteristiche più importanti per un interporto, è sempre più limitato a causa dei costi che stanno lievitando e a causa di investimenti che non sono ancora tangibili: in questo modo non emerge appieno lo specifico potenziale degli interporti nell’erogazione di servizi logistici e nell’intermodalità.

In merito agli incentivi, credo che se ora fossimo, per così dire, all’anno zero, incentivi economici non ce ne dovrebbero essere: in sostanza, se non ci fossero stati incentivi al trasporto su gomma, probabilmente non sarebbero necessari neanche per l’intermodalità.

Invece ormai, per poter sopperire alla grande competitività del gommato (che anche dal punto di vista ambientale non può più essere sostenibile), sono necessarie azioni per colmare il gap che si è venuto a formare.

Aggiungo inoltre che, oltre al fattore dei costi, sicurezza e qualità del trasporto non vanno trascurate: anche perché l’abbassamento delle tariffe molto spesso non porta a risultati piacevoli per quanto riguarda questi aspetti altrettanto importanti.

D: Proseguendo su questo tema, il roadshow che si sta svolgendo in queste settimane per iniziativa della UIR mi pare un chiaro segnale del fatto che, diplomaticamente parlando, per l’intermodalità in Italia ci siano “ampi margini di miglioramento”.
E’ d’accordo sulle rivendicazioni della UIR, ovvero «finanziare il trasferimento modale delle merci dalla strada alla ferrovia attivando il più presto possibile il cosiddetto
ferro bonus lanciato dal Ministro Matteoli, coinvolgere gli interporti nella pianificazione infrastrutturale del territorio evitando di limitare tale prerogativa solo ai Porti e alle Regioni, aggiornare il vecchio quadro normativo sugli interporti adeguandolo a tutti i cambiamenti e agli sviluppi che il settore trasporti ha subito nel corso di questi anni»?

R: Sì, sono pienamente d’accordo su tutto.
Mi permetta però di intervenire su questo: perché i porti hanno più importanza rispetto ad altri soggetti? Questo accade perché sono operatori economici rilevanti, nel senso che muovono ingenti capitali e creano un notevole indotto.

Se vogliono far sentire la propria voce, gli interporti devono essere visti come una forza unica: non come soggetti legati a una particolare area geografica e impegnati su due partite, ovvero quella per il proprio territorio e quella per il sistema complessivo. In questo modo qualsiasi azione verrebbe smontata molto facilmente.

Per questo condivido le posizioni della UIR, che dovrebbe trasmettere sempre più l’idea di costituire una forza unica: bisogna fare massa critica per riuscire a produrre un’azione efficace.

D: Per finire, ci parli un po’ di InLog: in che cosa consiste, e quali sono le iniziative e i progetti in essere? Fra l’altro, se non sbaglio Lei è diventato presidente di InLog pochi mesi fa.

R: Sì, è esatto. InLog è una società di sviluppo di iniziative logistiche. Si tratta di iniziative logistiche di carattere internazionale: come dicevo prima, la ricerca di mercati e di collaborazioni con mercati esterni, in particolare con mercati a rapido o alto sviluppo di PIL, quindi Cina e India, Kazakhstan e anche alcuni paesi dell’area mediterranea.

In questo periodo ad esempio stiamo investigando, pare con buone prospettive, l’area degli Emirati Arabi.

Si tratta di iniziative biunivoche: sviluppare piattaforme logistiche nell’area di interesse ma anche far transitare le merci da quell’area geografica verso l’Italia.
Su questo, ovviamente, dobbiamo favorire gli interporti che hanno costituito InLog, senza però avere una visione campanilistica all’interno, nel favorire questo piuttosto che quel soggetto.





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