(Comunicato stampa)
Con centinaia di milioni di persone ancora confinate in casa per gran parte del tempo, non c’è da sorprendersi che gli acquisti online, negli ultimi dodici mesi, abbiano fatto registrare un boom senza precedenti.
Mentre l’e-commerce è stato il salvagente per molti retailer, l’enorme numero dei resi è stato uno tasto dolente che ha portato in primo piano il seguente problema: come mantenere la precisione dell’inventario con i grossi volumi di beni acquistati online e poi restituiti agli store, ai punti di raccolta o agli hub di distribuzione per essere venduti nuovamente?
Ridurre al minimo i costi finanziari e le sfide logistiche di questa “ondata e-commerce” è certamente un fattore primario per i brand di tutto il mondo, ma ci sono anche altre motivazioni da considerare, compresi i potenziali benefici per l’elemento complessivo del customer journey e l’ambiente.
Solo negli Stati Uniti, la National Retail Federation ha previsto che i consumatori abbiano restituito 101 miliardi di dollari di merce acquistata durante la stagione natalizia del 2020.
In un recente studio di Retail Economics, è stato rivelato che i consumatori britannici hanno restituito oltre il 17% degli acquisti online di abbigliamento e calzature per tutto il 2020, rispetto a un tasso di restituzione inferiore al 12% per gli acquisti in-store.
Nel complesso, questo significa che i retailer nel 2020 hanno dovuto gestire resti per circa 4,3 miliardi di sterline, tra negozi fisici e acquisti online.
Il report ha anche individuato che la Gen Z (18-24 anni) è stato il gruppo di età con il maggior numero di resi, in particolare per gli acquisti online. Per fare un paragone con ordini omogenei in abbigliamento, il valore dei resi della Gen Z è pari al doppio dell’intero valore degli acquisti effettuati dalla fascia over 65.
Il vero costo del commercio online è appesantito dai tassi di reso più alti rispetto alle vendite nei negozi fisici, e questo si aggiunge a un panorama digitale molto competitivo e con un costo crescente per acquisizione, anche per i clienti online.
Negli Stati Uniti, il processo dei resi online può costare tra i 10 e i 20 dollari, senza considerare le spese di trasporto.
Per gli articoli al di sotto di un certo prezzo o per quelli di grandi dimensioni, che possono incorrere in pesanti spese di spedizione (che i commercianti non possono scaricare sui consumatori), consentire ai consumatori di tenere alcuni articoli è una delle possibilità per ridurre i costi, come fatto nel periodo natalizio negli Stati Uniti da Walmart e Amazon.
La variabilità dei costi online sta mettendo sotto pressione i retailer tradizionali affinché cambino le loro proposte e razionalizzino i costi fissi tradizionali.
Nel fare ciò, stanno aprendo sempre più agli investimenti digitali, ai progressi tecnologici (come l’architettura microservice e l’automazione) e alle partnership per ridurre i costi, espandere le capacità e aumentare agilità e resilienza complessiva della supply chain.
Consideriamo per un momento l’esperienza e il processo. Nel corso dell’ultimo anno, la maggior parte delle persone avrà sperimentato l’eccitazione e la delusione di aprire un nuovo capo d’abbigliamento consegnato a casa, solo per scoprire che dal vivo non era come online.
Secondo un sondaggio di dicembre 2020 condotto da CivicScience, un consumatore su quattro ha dichiarato che dover consegnare i pacchi in una struttura postale o in un punto di raccolta (soprattutto durante la pandemia), è uno dei principali punti critici nel processo di reso degli acquisti online.
Come spesso accade, il processo di reso può essere l’ago della bilancia nella valutazione di un brand, e i retailer esperti (in particolare i pure-play dell’e-commerce come ASOS o Boohoo) stanno considerando il reso sempre più come un’opportunità per coinvolgere ulteriormente i clienti, fornendo un ulteriore touchpoint per migliorare l’intera customer experience.
Rendere il più semplice possibile il processo e, in alcuni casi, rinunciare del tutto alla restituzione di alcuni articoli potrebbe avere un senso dal punto di vista dei costi pratici.
Pensiero condiviso anche dai brand, poiché la maggior parte dei consumatori probabilmente apprezzerà il gesto, dal momento che non è richiesta alcuna azione da parte loro, contribuendo a rafforzare il brand, la fedeltà e (si spera)incentivare gli acquisti futuri.
Inoltre, i resi hanno anche un effetto sull’ambiente, attraverso le scatole, sacchetti di plastica, pluriball e altri imballaggi, per non parlare dell’impatto ambientale generato dai viaggi aggiuntivi del corriere e del trasporto.
In un recente articolo Retail Dive ha riportato che i resi dell’e-commerce negli Stati Uniti hanno creato 5 miliardi di tonnellate di rifiuti in discarica e hanno prodotto tanta anidride carbonica quanta ne producono 3 milioni di automobili in un anno.
Se un processo di reso può diventare più snello ed economico, anche solo marginalmente, grazie alla dimensione dei numeri in gioco significa che i brand possono ottenere guadagni ambientali significativi e positivi.
E, in un momento in cui c’è un crescente cambiamento nella psiche del consumatore verso brand consapevoli e responsabili nei confronti dell’ambiente, non è qualcosa che può essere ignorato quando si parla di resi.
Il comportamento dei consumatori è cambiato in modo significativo nel corso dell’ultimo anno e con gli acquisti tramite e-commerce che perdureranno, la sfida della gestione dei processi di reso, per renderli più efficaci dal punto di vista dei costi, del cliente e dell’ambiente attira l’attenzione di molti.
La creazione di una maggiore visibilità e di una maggiore intelligenza verso la gestione delle scorte, di sistemi omnichannel front end più intelligenti in grado di gestire in modo efficiente le richieste dei clienti e di un maggiore uso dei dati attorno ai processi e alle reti di trasporto, saranno tutte aree di importanza cruciale per i brand che cercano di risolvere queste tre sfide chiave presentate dalla trend crescente dei resi.