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Supply chain nella GDO: più tecnologia, più efficienza

Utilizzo di Big Data e logistica collaborativa alla base della Supply Chain nella GDO. Ecco gli esempi di Esselunga e Conad




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Supply chain nella GDO: più tecnologia, più efficienza

24 Settembre 2018

AGGIORNATO AL 25 FEBBRAIO 2022

Fare il più possibile, il meglio possibile, il più velocemente possibile.
Questo è ciò che a ognuno di noi è chiesto costantemente sul luogo di lavoro, dal capo o dai propri collaboratori, di modo che il processo di produzione della Supply Chain nella GDO di qualsiasi cosa sia il più fluido possibile.

In questo la logistica per il settore alimentare, specie nella GDO (grande distribuzione organizzata) non fa eccezione.

Sul potenziamento della propria catena di distribuzione, la classica supply chain, per utilizzare un termine prestatoci dalla terra d’Albione, in questi anni si sono concentrati molti degli sforzi dei grandi player della distribuzione, – specie alimentare – e per ovvi motivi.

Il cliente chiede di avere a disposizione sempre il massimo dei prodotti e al top della qualità, e accontentare l’utente è pur sempre il target di ogni azienda che sia sul mercato.

Il tutto, però, a un prezzo contenuto, tenendo bene a mente il valore di break even da raggiungere e, naturalmente, superare.
Ma come fare tutto ciò? Come avere “la botte piena e la moglie ubriaca”?

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L’utilizzo dei Big Data

Un aiuto decisivo viene dalla tecnologia, specie nel periodo di profonda trasformazione che GDO e retail (ma anche i consumatori stessi) stanno vivendo negli ultimi anni.
Un primo soccorso viene dai Big Data, applicabili ormai a pressoché ogni ambito delle esperienze umane.

I data hub possono fornire infatti una conoscenza più approfondita della situazione per pianificare le attività logistiche necessarie.
Dalla gestione degli scaffali agli inventari, e in generale la totalità della catena di distribuzione: tutto è più facile all’aumentare dei dati disponibili e amministrati dagli addetti ai lavori.

Connettendo i dati relativi alla merce disponibile a scaffale con altri sistemi disponibili si può creare poi un modello di previsione sul rischio di andare out-of-stock, così da informare il più tempestivamente possibile gli addetti.
Sta tutto qui, dunque: nel governare le inefficienze e trasformare i processi produttivi cogliendo il meglio possibile da ciò che abbiamo intorno.
C’è qualcuno che questo già lo fa.

Una Supply Chain 2.0

Esselunga, fondata esattamente 60 anni fa a Milano e gigante da 7,5 miliardi di euro e 23mila dipendenti, ha saputo cavalcare – e non subire – questa rivoluzione distributiva.
L’azienda creata da Bernardo Caprotti ha deciso di affidarsi alle soluzioni Warehouse Management System (WMS), Labour Management e Slotting Optimisation della statunitense Manhattan Associates, specialista appunto di software di supply chain management.

In uno scenario composto da oltre 150 supermercati distribuiti su 7 regioni (Lombardia, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria e Lazio), da essere riforniti con prodotti freschi e di qualità, Esselunga ha deciso di sostituire i propri sistemi tradizionali con una soluzione di advanced supply chain in grado di gestire esigenze aziendali sempre più complesse.

Nelle aspettative dell’azienda, il nuovo sistema dovrebbe ottimizzare la gestione degli ordini e migliorare la disponibilità dei prodotti, accrescendo fedeltà dei clienti, fatturato e margini.

Anche Conad si muove in questa direzione, come ha spiegato Andrea Mantelli, responsabile supply chain, ai microfoni di Gdoweek: “Oggi abbiamo anche noi fatto un passo avanti nella tracciatura dei prodotti, per quanto riguarda la supply chain. Utilizziamo sempre più spesso i tag RFID, che installiamo su tutti i prodotti deperibili, di modo da essere più precisi, tempestivi e quindi efficienti dal punto di vista della ricezione del prodotto a listino. Sempre utilizzando le nuove tecnologie, arriveremo a eliminare i documenti di trasporto cartacei, che oggi sono ancora l’unico modo per verificare l’esito delle consegne”.
Non solo innovazione: nell’era della sharing economy si può fare anche altro.

La logistica collaborativa

Nella catena di distribuzione, si definisce logistica collaborativa la gestione basata sulla condivisione di infrastrutture, di personale e di processi tra aziende della stessa filiera produttiva.

L’obiettivo è quello di migliorare efficienza e qualità del servizio, oltre che di abbattere gli sprechi. Ancora oggi, però, sono pochi i soggetti che si fidano l’uno dell’altro, perdendo l’opportunità di cooperare per il proprio bene: dai produttori ai distributori finali, insomma, in pochi vogliono davvero collaborare.

Eppure c’è chi tesse le lodi di questo sistema, come Marco Melacini, direttore dell’Osservatorio Contract Logistics (Ocl) “Gino Marchet” e professore associato al Dipartimento di Ingegneria gestionale al Politecnico di Milano: “Dopo le difficoltà di implementazione avute negli anni passati, ora la logistica collaborativa sembra tornata di moda. Le sue potenzialità sono enormi, a maggiore ragione in una filiera come quella del largo consumo che movimenta oltre 3 miliardi di colli ogni anno”.

Collaborando, spiega Melancini, si può raggiungere un’efficienza delle unità di carico e una saturazione dei mezzi di trasporto, le leve collaborative su cui si deve concentrare la filiera del largo consumo se vuole ridurre i costi del sistema industria-distribuzione a beneficio del consumatore finale.

Insomma, sono lontani i tempi in cui la supply chain consisteva esclusivamente nello spostamento di un prodotto da un magazzino a uno store prima che deperisse.

Chiaro, il concetto – elementare – è sempre questo, ma diversi sono i modi in cui raggiungere massima efficienza, massima qualità e massima soddisfazione del cliente.
Le armi in mano alla GDO sono diverse, e tutte alla portata di chi vuole lavorare garantendo l’eccellenza del servizio.
Anche se a volte il modo è “alleandosi” o cooperando proprio con il proprio concorrente.





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