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L’agroalimentare italiano sempre sulla cresta dell’onda.
Internazionalizzazione, competitività e crescita. I fattori chiave emersi dalla Ricerca.


Outsourcing

L’agroalimentare italiano sempre sulla cresta dell’onda.

27 Luglio 2015

Premessa
Una ricerca interdisciplinare dedicata all’analisi delle performance delle imprese dell’agroalimentare italiano, realizzata dall’Università del Sacro Cuore di Milano attraverso il laboratorio UCSC ExpoLAB e Fiere di Parma, ha messo in evidenza la rilevanza del settore all’interno dell’intero sistema produttivo del Paese: un comparto con oltre 58mila imprese, 385mila addetti diretti e altri 850mila impiegati nella produzione agricola.
Con questi numeri e un fatturato di 132 miliardi di euro nel 2014, il settore agroalimentare italiano è al secondo posto all’interno dell’industria manifatturiera.

Quest’anno, attraverso Expo, si concretizza l’occasione imperdibile di raccontare al mondo intero i valori di questo sistema e di sognare una definitiva ripresa: secondo il Centro Studi Federalimentare, infatti, il 2015 si presenta come l’anno in cui dovrebbero consolidare la crescita consumi (+0,3%), produzione (+1,1%) ed export (+5,5%) per la prima volta dall’inizio della crisi. Anno della svolta, dunque? Solo se verranno fatte scelte lungimiranti per consolidare il trend positivo in corso.

La ricerca
Oggetto della ricerca dell’Università del Sacro Cuore e Fiere di Parma sono state le 448 imprese del settore alimentare di dimensioni maggiori, selezionate da 13 comparti in base a quanto gli stessi pesano nel settore.
Focalizzandosi su alcuni indicatori (Ricavi, EBITDA, Return on Assets, Posizione finanziaria netta, Mezzi propri/Mezzi di terzi, Liquidità primaria), in una prima fase della ricerca sono stati raccolti e analizzati dati di bilancio delle imprese per il periodo 2007-2013.
Questo primo sguardo al settore ha messo però di fronte alla necessità di individuare le fonti di competitività del Paese.

Ecco perché la seconda fase della ricerca ha previsto la somministrazione di un questionario a 120 imprese top champions,  rappresentative dei vari comparti, che sono state individuate proprio per rispondere a questa esigenza.
Il posizionamento competitivo delle imprese non è stato rilevato facendo affidamento ai soli valori quantitativi, ma anche alle percezioni dei rispondenti.
Questa seconda fase è tuttora in corso, ma è stato comunque possibile servirsi del materiale raccolto dai 41 questionari già compilati.

Redditività delle imprese: relazione con crescita e dimensioni
Nella sua prima fase, la ricerca ha evidenziato come per il periodo di riferimento il settore sia cresciuto complessivamente con un tasso annuo del 3.87%.
Lo stesso comportamento non è però riscontrabile se si va ad analizzare ogni comparto singolarmente.
A registrare i tassi di crescita più elevati sono Carni (6,92%), Condimenti (5,97%), Gastronomia (6,81%).

Anche dal punto di vista delle redditività, l’analisi del dato per singoli comparti mostra come accanto a comparti con una redditività sostanzialmente stabile (per esempio Condimenti e Gastronomia, entrambi oscillanti tra 10 e 12%), ce ne siano altri nei quali la riduzione dei margini appare strutturale.
A deprimere in modo significativo i margini aziendali in alcuni comparti sono sicuramente un business più maturo e la forte competizione giocata sul prezzo.

Ma l’aspetto più interessante della ricerca sta nel tentativo di valutare se esiste un legame tra crescita e ricavi, redditività e dimensione aziendale.
Una correlazione positiva tra dimensione e redditività esiste, e questo dato fa pensare che, soprattutto in settori come Pasta, Dairy, Snack e Acqua/bevande, il maggior potere di mercato delle grandi imprese possa fare la differenza.

Non si può dire lo stesso per quanto riguarda dimensione e crescita: la statistica non può provare che sia la dimensione di un’azienda a influenzarne i tassi di crescita.
Come non esiste un legame tra redditività e crescita: anzi, nella maggior parte dei casi sembra che queste due dimensioni siano inversamente proporzionali.

Internazionalizzare per essere più competitivi

Con il questionario si riuscirà ad analizzare come le imprese hanno reagito all’impatto della crisi.
A questo proposito, l’analisi rivela che nel 2007-2013 sono stati i mercati esteri a trascinare la crescita delle imprese, evidenziando un punto fondamentale: l’importanza dell’internazionalizzazione per lo stimolo alla competitività.

I mercati di Francia, Germania, Regno Unito, sono considerati particolarmente strategici oggi per l’impresa alimentare e, nell’opinione dei soggetti intervistati, sono destinati a crescere per importanza i mercati extra-europei (USA e Cina).
Federalimentare ha sempre sottolineato la necessità di un continuo investimento a sostegno delle esportazioni, che crescono ma rallentano la corsa rispetto al passato: +3,1%  dopo il +5,8% del 2013.

Il peso delle esportazioni sul fatturato dell’alimentare è aumentato in dieci anni di quasi il 50%, passando dal 14% del 2004 al 20,5% del 2014.
Le prospettive 2015 dell’export di settore sono migliori di quelle dell’anno precedente.
Federalimentare stima che la crescita sarà del +5,5%, quasi doppio di quello 2014, grazie ai mercati emergenti, all’ottima dinamica della congiuntura Usa e alla spinta di Expo.

Ma non si guarda però solo allo sviluppo internazionale per uscire dalla crisi: si investe anche nell’innovazione dei processi (93%) e nello sviluppo di nuovi prodotti (78%); si investe pure per sostenere e accrescere la qualità del prodotto e per aumentare la capacità produttiva dell’impresa.
Le imprese del settore alimentare in Italia sono meno interessate alla diversificazione: un segnale di fiducia da parte degli imprenditori nel core business, particolarmente incoraggiante per le prospettive del settore.





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