È fuor di dubbio che esista un gap infrastrutturale italiano: l’indice di competitività globale del Word Economic Forum e l’indicatore di performance logistica della World Bank ne sono un valido esempio.
Il World Economic Forum (WEF) pubblica un rapporto con una serie di indicatori di performance che posizionano i diversi Paesi (142 in totale) in un ranking mondiale.Nel considerare i diversi indicatori qualitativi elaborati nell’ambito della valutazione infrastrutturale, la posizione dell’Italia è nettamente critica, sia in generale sia rispetto ad alcuni Paesi europei presi a riferimento (Francia, Germania e Spagna).
Colpisce in particolare il 55° posto nelle infrastrutture stradali ed il 29° in quelle ferroviarie (con i tre Paesi europei di nostro riferimento tutti nei primi dieci), mentre in compenso l’Italia è molto “forte” nel possesso di telefonia mobile (14° posto).In un recente documento a cura del Ministero delle Politiche Agricole, promosso – tra gli altri – dal Gruppo di lavoro Competitività della Rete Rurale Nazionale (RRN), si analizza la “sensibilità” logistica del sistema agroalimentare italiano.
Eppure la World Bank ha elaborato un indicatore di qualità logistica (Logistic Performance Index – LPI) sulla base del quale l’Italia si posiziona al 24esimo posto su 155 paesi considerati (Rapporto 2012), mentre i più elevati standard di efficienza e competitività nei servizi logistici sono riscontrabili in Paesi come Germania, Singapore, Svezia e Paesi Bassi.
Da cosa dipende quindi questo modesto risultato italiano?
Alla domanda di quali siano le principali criticità della logistica italiana, una buona parte di imprese agricole e agroalimentari risponderebbe citando “le strade, la viabilità, gli accessi alle aree logistiche, le difficoltà a utilizzare il treno, la nave, ecc.”.
Una parte certamente molto inferiore ricorderebbe le carenze logistiche “interne” alle imprese e legate quindi direttamente all’azienda, alla sua struttura organizzativa, alle strategie competitive, all’efficienza produttiva e distributiva.
È esattamente così che è andata anche nelle risposte a un’indagine diretta ISMEA: la gran parte delle aziende intervistate ha imputato ai ritardi e alle inefficienze infrastrutturali la causa principale del loro gap competitivo.
Ciò è comprensibile, e infatti la competitività è definita proprio come l’insieme di istituzioni, policies e fattori che determinano il livello di produttività di un sistema Paese e, con esso, il livello di benessere economico che può essere creato dall’economia nazionale.
Infatti, valide infrastrutture sono in grado di ridurre gli effetti negativi legati alla “distanza” fra diverse regioni e bacini internazionali, sia di produzione che di consumo, permettendo così l’integrazione produttiva e commerciale fra diversi mercati nazionali, separati fra loro anche da diverse migliaia di km di distanza.
Inoltre, la qualità e l’estensione delle infrastrutture impatta fortemente anche sulla crescita economica all’interno dei singoli Paesi, riducendo gli svantaggi di alcuni territori rispetto ad altri, e contribuendo così a ridurre gli squilibri socio-economici.
Nel dettaglio, il trasporto stradale di merci in Italia supera il 90% se si considera solamente il trasporto terrestre e se si utilizza l’unità di misura delle tonnellate per km trasportate.
Il relativo dato europeo (UE 15) indica invece un 79%, che scende al 73,4% considerando l’UE 27.
Allargare gli orizzonti al trasporto marittimo e aereo non cambia, anzi, peggiora il posizionamento dell’Italia rispetto alla media europea.
Le ragioni della forte dipendenza dalla “strada” del traffico merci italiano sono diverse e, tra le più importanti, vi sono i forti investimenti del dopoguerra – su un territorio frastagliato e morfologicamente difficile – che non sono stati seguiti da altrettanti investimenti di riequilibrio a partire dagli anni ’80, al contrario delle dinamiche degli altri Paesi europei.
Vi è poi il modello industriale italiano basato su piccole e medie imprese e centrato sui distretti industriali, che è stato supportato da trasporti di corto raggio necessariamente su gomma.
Un’altra ragione della dipendenza dalla “strada” è l’evoluzione dei modelli commerciali e distributivi (non solo in Italia naturalmente), che hanno seguito la strada del “just in time”, della riduzione delle scorte, delle consegne frequenti con bassi volumi in consegna, tutti elementi che hanno giustificato almeno in parte il trasporto stradale.
Il gap manageriale delle imprese italiane di trasporto e logistica, piccole e poco diversificate sull’offerta di trasporto e dei servizi connessi, ha fatto poi il resto, soprattutto in una fase storica, come gli ultimi 25 anni, segnata da grandi cambiamenti organizzativi, forti innovazioni e profonde ristrutturazioni nei mercati e nella competizione globale.
La supply chain alimentare è complessa e articolata sia nelle fasi a monte (agricoltura e trasformazione) che in quelle a valle, con canali di vendita sempre più differenziati e articolati.
Il sistema agroalimentare è uno dei più sensibili ai temi della logistica: da un lato, la distanza fra le aree produttive e quelle di consumo è un elemento caratterizzante dei rapporti produzione/commercializzazione/distribuzione, dall’altro il posizionamento competitivo dell’Italia è in continua ridefinizione.
Infine il sistema è soggetto a forti sollecitazioni, legato all’evoluzione della domanda dei consumatori, all’internazionalizzazione dei mercati – sia di approvvigionamento che di sbocco – alla riorganizzazione delle imprese, sia alimentari che commerciali e di distribuzione.
I prodotti freschi deperibili sono la vera cartina al tornasole di queste tendenze in atto e per essi la logistica è lo strumento irrinunciabile di controllo della variabile principale della loro azione economica: il fattore “tempo”.
Per l’ortofrutta, soprattutto, i “tempi commerciali” devono tener conto dei “tempi biologici” dell’agricoltura, ma non possono prescindere dai “tempi logistici”; “tempi di consegna” delle merci, quindi, ma anche “mantenimento delle condizioni di qualità delle merci alla consegna”.
In ragione di tutto ciò, il controllo e la razionalizzazione della funzione logistica hanno assunto negli ultimi anni un ruolo strategico anche per l’intero sistema agroalimentare e per i prodotti deperibili in particolare.
Per essi, infatti, la logistica è qualcosa di più del semplice trasferimento di una merce da un luogo ad un altro del territorio, ma rappresenta l’insieme di tutte quelle tecniche e funzioni organizzative – concentrazione dell’offerta in piattaforma, stoccaggio, rottura e manipolazione del carico, tecniche di magazzinaggio, preparazione degli ordini, gestione della catena del freddo, ecc. – che sono lo strumento essenziale per garantire la consegna del prodotto al cliente nei modi, nei tempi e ai costi desiderati da quest’ultimo.
Al contrario, le percentuali più ridotte di imprese convinte che esistano normative in grado di condizionare la logistica sono riscontrabili nella filiera dell’olio (meno del 30%) e in quella del Parmigiano Reggiano (poco più del 20%).
Sono state citate a questo proposito:
In termini generali, le piattaforme multicliente sono dei veri e propri magazzini logistici che concentrano e centralizzano le scorte di produttori diversi, non necessariamente appartenenti alle stesse categorie merceologiche.
In questo modo è – in teoria – più facile predisporre carichi completi verso la tappa successiva lungo la supply chain (sia essa un’ulteriore piattaforma logistica oppure il cliente finale), o in ogni caso predisporre linee di scarico merci (modello multidrop) più efficaci e razionali in termini di costi logistici.
Attraverso lo “strumento” del carico completo si raggiungono diversi obiettivi logistici fondamentali, tutti con evidenti ripercussioni sui costi di gestione: ridurre i costi di trasporto, ridurre i camion circolanti sulle strade, aumentando nel contempo il “livello di servizio”, ossia la “qualità” del servizio offerto al cliente.
Far condividere lo stesso mezzo di trasporto a diversi prodotti di fornitori diversi ma che hanno in comune lo stesso cliente (o la stessa rotta di viaggio) è un’operazione di razionalizzazione che può essere svolta solo ed esclusivamente da un operatore logistico, unico in grado di garantire una gestione “terza” e super partes delle merci.
Va detto che nella cultura d’impresa italiana non è facile riscontrare una forte e motivata propensione alla partnership per la gestione delle crescenti sfide competitive, e l’indagine ISMEA lo conferma.
Eppure tutto ciò non è un fine ma un mezzo per raggiungere il vero obiettivo di razionalizzazione dei flussi, ossia l’aggregazione delle merci in un determinato luogo; solo l’aggregazione, la crescita della massa critica, hanno saputo dare concretezza agli obiettivi di miglioramento di servizio e contenimento dei costi.