L’Italia è il paese del buon vivere, ma anche e soprattutto del buon bere e del buon mangiare.
I prodotti del Bel Paese sono invidiati (e imitati) in tutto il mondo, e sappiamo bene come le tante produzioni di qualità siano artigianali, fondate su maestranze e sapienze antiche, immutate – o quasi – negli ultimi secoli.
Si tratta indubbiamente di un merito di tanti appassionati produttori, che combattono ogni giorno contro burocrazia stringente, cambiamenti climatici e concorrenza sleale per mantenere altissimo il livello di qualità del cibo che di giorno in giorno viene consumato.
Il legame con la tradizione non deve però essere scambiato per antimodernismo: la tecnologia può aiutare decisamente anche gli allevatori, gli enologi, i contadini italiani.
Per capire come e quanto se ne è parlato a Brescia, lo scorso 12 febbraio, durante il convegno di presentazione dell’Osservatorio SmartAgrifood.
Durante l’evento si è risposto alle domande più comuni sul tema: quali sono i trend dell’innovazione digitale nell’AgriFood in Italia, i business model più innovativi, come innovare il business delle aziende consolidate interagendo con le startup e molto altro.
Domande che si sono poste il Laboratorio RISE del dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale dell’Università degli studi di Brescia che svolge attività di ricerca e di trasferimento di know-how verso le imprese e poi gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, che svolgono ricerche empiriche finalizzate a creare e diffondere cultura su opportunità e impatti dell’Innovazione Digitale.
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Nell’indagine relativa al 2018 sono state prese in esame oltre mille start up internazionali, di cui 98 italiane operanti nello Smart AgriFood fondate dal 2012 in Italia e ancora oggi attive e operative.
L’analisi ha evidenziato come la regione con il maggior numero di start up operanti nel settore sia la Lombardia, con il 33% delle aziende totali e il 53% del finanziamento totale ricavato.
Situazione sottosopra invece in Emilia Romagna, dove il 17% delle start up hanno raccolto finanziamenti solo per il 7% del totale.
Queste start up attive nello Smart AgriFood utilizzano una vasta gamma di tecnologie per migliorare e ottimizzare il più possibile la propria attività.
Uno dei “gadget” indispensabili sono i droni, essenziali per il rilevamento di immagini di terreni e colture. Utili inoltre i sistemi di Internet of Things per monitorare le produzioni e la blockchain per la tracciabilità.
Ci sono poi gli immancabili Big Data, adoperati ormai in ogni realtà, da quelle produttive a quelle sportive, irrinunciabili per potersi rendere conto di una vasta gamma di dati, anche in tempo reale: il 42% delle realtà prese in esame usa questo tipo di strumento, nel 16% dei casi in real time, con monitoraggio in tempo reale di umidità/temperatura del terreno, condizioni atmosferiche, livello di inquinamento delle acque e dell’aria.
Nel 4% dei casi, infine, si arriva addirittura ai casi più “estremi”, in cui la tecnologia si spinge fino alle simulazioni e alle analisi predittive per la previsione della crescita e della maturazione delle colture e della domanda, il tutto con l’implementazione di sistemi di analisi dati per sviluppo di modelli previsionali per interventi sul processo produttivo al fine di assicurare la qualità finale prima di effettuare le analisi sul prodotto.
Diversi gli ambiti di attività delle 98 start up italiane considerate.
Nel 50% dei casi sono attive nell’e-commerce, nel 20% nel settore dell’agricoltura, e poi via via nei settori della qualità alimentare, della sostenibilità, della tracciabilità e altro.
La parte del leone nel caso dei finanziamenti ricevuti la fanno le realtà del commercio digitale, con il 67% dei 25,3 milioni di euro disponibili.
Brutte notizie invece per le start up attive nell’agricoltura 4.0, che contano solo sul 7% del finanziamento. Il 15% va invece alla qualità alimentare, il 9% alla sostenibilità e il 4% alla tracciabilità.
Vi sono poi i diversi ambiti di attività delle nuove imprese, anche più di uno contemporaneamente: il 30% si concentrano su interventi di precisione, il 55% su mappatura e analisi del terreno e infine il 75% si focalizzano sul monitoraggio delle colture da remoto.
Nell’ambito della Food processing industry (che interessa il 20% delle realtà considerate) l’innovazione riguarda i sistemi di monitoraggio e controllo produzioni e la tracciabilità accanto all’innovazione tecnologica nella gestione dei dati di filiera tramite blockchain.
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Nel segmento del food service si affronta poi il sempre attuale (e caldo) tema delle start up di consegna di cibo.
Uno degli esempi presi in esame è quello di GetDayOffer, piattaforma per prenotare in ristoranti piatti tipici da asporto o per ordinare un tavolo.
Grazie all’intelligenza artificiale la piattaforma suggerisce al consumatore i ristoranti più adatti per i suoi gusti.
Nel campo e-commerce emergono invece business model che disintermediano la filiera, arrivando a connettere direttamente produttori e consumatori, riducendo il “percorso” fatto dal prodotto dal campo alla tavola.
In questo caso l’esempio viene da realtà come Biorfarm, piattaforma e-commerce per l’acquisto di un albero biologico.
L’utente potrà monitorare il proprio albero in tutto il ciclo di vita e ricevere a domicilio il raccolto.
Nell’ultimo ambito, quello dei Retailers, dove lo sguardo è rivolto alla riduzione degli sprechi (e delle perdite), l’esempio è quello di Last minute, una mobile app che permette ai negozianti di pubblicare offerte quando hanno alimenti in scadenza o in eccesso.
In ultimo, le start up più finanziate:
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