L’analisi dei Big Data porta numerosi vantaggi al settore food, ma il più importante è sicuramente quello relativo alla sicurezza alimentare.
La tracciabilità del prodotto infatti, nei vari processi dalla sua creazione fino al consumo finale, è indispensabile per monitorare il suo status e per poter reagire tempestivamente in caso di alterazioni.
Le aziende del mondo food&beverage a livello internazionale al momento si appoggiano ai sistemi delle autorità di controllo, ad esempio al Food Safety and Inspection Service del Ministero dell’Agricoltura Usa.
L’analisi incrociata di questi dati permette di rilevare se i reclami della clientela possano avere una causa comune.
Se poi i Big Data vengono confrontati con altri entri governativi, come i centri di controllo malattie, è possibile individuare la diffusione di batteri e intervenire rapidamente in caso di contaminazione.
Anche le informazioni derivanti dalle ispezioni sanitarie degli impianti produttivi potrebbero essere utili per capire se in futuro possano svilupparsi contaminazioni microbiche.
Considerando questi punti fondamentali, le aziende si stanno muovendo per avviare progetti di ricerca avanzati: un esempio è l’idea di realizzare una mappa dei microbiomi sull’intera supply chain, pensata dal Consortium for Sequencing the Food Supply Chain, collegato a IBM e Mars.
Il monitoraggio dell’intera catena e il confronto dei campioni consentirebbe il rilevamento di anomalie prima che il prodotto giunga al consumatore finale.