“La prima impressione è quella che conta”, si suol dire. O anche che “non si giudica un libro dalla copertina”.
In molti, e per molto tempo, hanno tentato di smentire queste affermazioni, cercando di dimostrarne la scarsa veridicità, la loro superficialità.
Sono tuttavia sempre più numerose le
ricerche accademiche e le
indagini di mercato che corroborano la cara vecchia saggezza popolare.

Una ricerca dell’
Università di Parma sottolinea come contrariamente a quanto si possa pensare, la
tecnica del packaging non è propria del ventesimo secolo, ma della fine del diciottesimo, ed è figlia della rivoluzione industriale.
La produzione di sempre più articoli in vasta scala ha sin da subito fatto sorgere l’esigenza di distinguere i differenti beni gli uni dagli altri tanto a livello della modalità di confezionamento, quanto per la grafica da utilizzare.
La tecnica del packaging è andata via-via perfezionandosi fino ad arrivare al ventesimo secolo, quando l’estetica del contenitore dell’oggetto in vendita ha acquisito un’importanza tale da diventare quasi un vero e proprio venditore indipendente: un
silent salesman, come recita una definizione d’oltreoceano, un soggetto non dotato di parola, ma pronto a lanciare messaggi nel circuito linguistico e abile a farsi capire.
Il boom dell’importanza delle confezioni si è avuta nell’immediato dopoguerra, quando la società consumistica è stata “esportata” dagli Stati Uniti fino in Europa.
Nella nuova logica di mercato andata instaurandosi, il
packaging ha ulteriormente acquisito valore a livello pratico e
logistico, ma anche al fine di promuovere un vero e proprio dialogo diretto con il consumatore, bisognoso di rassicurazione in quanto sprovvisto di quel contatto diretto con il luogo e i soggetti di produzione avuto per secoli.
È in questa situazione che si è sviluppata una vera e propria
arte del confezionamento, un trend industriale e quasi culturale che ha orientato e continua a orientare i nostri stessi consumi.
COINVOLGIMENTO EMOTIVO
Sul
neuromarketing si è concentrata una

ricerca del
Dipartimento behavior and brain lab dell’Università Iulm di Milano guidato dal professor
Vincenzo Russo e commissionata dal
Club carta e cartoni di Comieco.
L’analisi ha sottolineato come il nostro istinto prediliga i
pack di cellulosa, facilmente riconoscibili e soprattutto riciclabili.
Due aspetti non trascurabili, dal momento che come sottolinea il presidente di Comieco,
Amelio Cecchini, “un consumatore in un punto vendita è mediamente esposto a circa 300 marche differenti, motivo per cui la riconoscibilità è essenziale.
Il 65% dei consumatori esprime una preferenza immediata e implicita per i pack in carta e cartone, pratici e perfettamente sostenibili – continua Cecchini – Oggi vengono immessi al consumo oltre 4,8 milioni di tonnellate di imballaggi cellulosici con un tasso di riciclo dell'80% e di recupero dell'88%”.
Oltre al
valore per l’ambiente, il pack di cellulosa riesce più di altri a far leva sulle emozioni non controllate razionalmente.
In questo si conferma come l’attenzione per la sostenibilità sia riconosciuta come valore per i consumatori finali. In cifre, i pack in carta e cartone li coinvolgono maggiormente, con una media che supera il +13% rispetto ad altri materiali.
RICONOSCIBILITÀ
La ricerca di neuromarketing si è avvalsa anche di “
Eye tracker”, un
dispositivo in grado di valutare lo sguardo dei consumatori e la loro attenzione alle informazioni stampate sulla confezione.
Ebbene, dai dati analizzati dallo strumento emerge che le
confezioni in cartone ricevono maggiore attenzione di quelle in altri materiali.
A parità di denominazione, ad esempio, un marchio stampato su un pack di questo tipo fa segnare un +48% di tempo di osservazione da parte dei soggetti e un +31% di osservanti, inteso come incremento dei soggetti che hanno osservato una certa area.
L'analisi considera infine la visione a scaffale: l’attenzione alle confezioni in cellulosa aumenta del 45% se posizionate nella parte alta dello scaffale, del 7% in quella intermedia e fino al 70% nella parte bassa.
LE OPINIONI
Non solo neuromarketing, ma anche i classici sondaggi.
L’ultima parte del lavoro della ricerca accademica si è concentrata proprio sull’
opinione dei consumatori dell’incartamento dei prodotti, per comprendere quale fosse il gradimento e soprattutto la propensione all’acquisto.
Ciò che dicono i dati è che la performance è ottimale: i
prodotti confezionati in carta e cartone piacciono anche razionalmente grazie a ciò che comunicano implicitamente.
In primis un’attenzione verso l’ambiente, ma anche qualità e freschezza, novità.
I risultati dell’analisi universitaria confermano quelli di un’altra indagine condotta sempre per il Club carta e cartoni di Comieco da Astra ricerche, secondo la quale il 75% dei consumatori confessa di apprezzare un
pack eco-friendly come quello cellulosico, mentre fino a un terzo degli italiani include tra i principali criteri di scelta le caratteristiche della sua confezione. Quindi sì: l’abito fa il monaco.
IL CASO SCUOLA

Proprio Comieco, nel corso degli ultimi anni, ha consolidato una collaborazione con Slow Food, facendo partire il progetto “
Giusto così”.
Per combattere la sempre più crescente tendenza allo spreco alimentare, i due attori hanno ideato e realizzato una “
doggy bag” (le sportine con cui si possono portare a casa gli avanzi di una cena al ristorante) in cartoncino riciclato.
“
Salvacibo” e addirittura “
Salvavino”, questi i nomi dei due prodotti, realizzati materialmente grazie alla collaborazione di Comieco con l’Università di Palermo e Scia imballaggi, sono stati distribuiti durante gli eventi del Salone del Gusto.
Certo, non si parla di packaging in senso stretto, ma l’esempio fornisce un ulteriore senso a quella che è la
cultura del riciclo e dell’
ecosostenibilità in senso lato che la ricerca dello Iulm ha specificato in numeri e cifre.
Neuromarketing, ricerche di mercato, pamphlet universitari: che
il prodotto per essere venduto debba essere buono è un fatto, ma è altrettanto innegabile l’importanza che il pack ha nel tempo acquistato in seno alla società consumistica.
Il messaggio è sempre fondamentale, e l’ecosostenibilità, così come in generale l’etica associata alla produzione industriale, è sempre più trasmessa dal confezionamento della materia prima.
Un dato da non trascurare e soprattutto da non negare. Nemmeno a sé stessi.