Nel suo Environmental Report 2025, Google ammette che la supply chain è l’anello più ostico nella strategia climatica dell’azienda. Benché si parli spesso di veicoli elettrici e pannelli solari, il vero banco di prova si nasconde nella filiera produttiva dietro ai dispositivi digitali. Dai chip dei data center agli speaker intelligenti, ogni componente nasconde un’impronta ambientale intricata e globalizzata.
Il documento sottolinea che più si amplia la prospettiva – dal device al network che lo produce – più cresce la complessità. Un esempio emblematico è il radicamento della catena di fornitura hardware di Google nell’area Asia-Pacifico, dove dominano India, Vietnam e Taiwan. Tuttavia, questa concentrazione territoriale comporta sfide energetiche e politiche che rallentano l’integrazione di fonti rinnovabili.
Molti degli impianti che producono per Google si trovano in Paesi con reti elettriche alimentate prevalentemente da fonti fossili. In tali contesti, transizioni rapide verso energie pulite risultano difficili.
Il report evidenzia problemi strutturali come:
Nonostante ciò, emergono segnali positivi: nel 2024 Google ha stretto una partnership con BlackRock per attivare 1 GW di energia solare a Taiwan. Questo progetto sostiene sia le operazioni dirette dell’azienda che quelle dei fornitori locali. Inoltre, il Clean Energy Addendum – lanciato nel 2023 – chiede ai partner di eguagliare al 100% il consumo energetico con fonti pulite entro il 2029.
Google riconosce che non basta “entrare in fabbrica e accendere un interruttore verde”. I fornitori sono aziende indipendenti con vincoli infrastrutturali e finanziari propri.
Per questo, l’azienda ha adottato un modello collaborativo e abilitante, che comprende:
La finalità dichiarata è rafforzare la resilienza della supply chain tramite percorsi graduali, condivisi e misurabili.
Nel 2024, Google ha conseguito risultati misurabili nonostante l’aumento dei consumi elettrici (+27%):
Sul piano dell’impatto utente, oltre un miliardo di persone ha consultato informazioni green tramite i servizi Google. Strumenti come Google Maps (navigazione fuel-efficient) e Nest hanno contribuito a 26 milioni di tonnellate di CO₂ risparmiate, pari alle emissioni annue di 3,5 milioni di case americane.
Anche l’intelligenza artificiale gioca un ruolo: il satellite FireSat è stato lanciato per individuare incendi boschivi tramite AI, mentre il nuovo chip Ironwood TPU è 30 volte più efficiente del primo modello Cloud TPU del 2018.
Il report non indulge in trionfalismi: le difficoltà restano sistemiche e multilivello. La decarbonizzazione della supply chain dipende da politiche nazionali, investimenti infrastrutturali e incentivi efficaci. Tuttavia, Google mostra come visione strategica e strumenti mirati possano trasformare un vincolo in un vantaggio competitivo. Per l’intera filiera, il cambiamento – seppur lento – è in marcia.
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