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Trauma da scaffale vuoto. Come evitare le rotture di stock e aumentare le vendite

Due case history - Dimar e Coca Cola - per capire come risolvere l’out of stock




Hardware e Software per il Magazzino

Trauma da scaffale vuoto. Come evitare le rotture di stock e aumentare le vendite

6 Giugno 2016

Di recente si è tenuto a Milano il convegno “Scaffali vuoti? Vendite perse e clienti insoddisfatti. Il coraggio di chi Osa”, organizzato da GS1 Italy in ambito Ecr Italia, che ha acceso i riflettori sull’Optimal shelf availability, l’insieme dei processi per ridurre le rotture di stock e garantire la disponibilità dei prodotti sugli scaffali dei supermercati.

ECR Italia ha presentato uno studio che analizza il comportamento dei consumatori di fronte allo scaffale vuoto e gli strumenti necessari ad una riduzione del processo come investimento vincente sia per la distribuzione che per l’industria, al fine di conservare il parco clienti e per garantire la fedeltà al marchio e al punto vendita.

L’out-of-stock è responsabile di 2,4 miliardi di euro di vendite perse nel 2015 (il 4,7% di quelle totali) nel sistema del largo consumo.
E’ evidente che nell’attuale contesto di mercati stagnanti recuperare efficienza riducendo il fenomeno delle rotture di stock è una esigenza primaria, in quanto rappresenta una delle maggiori opportunità di crescita per le aziende del largo consumo.

Al contrario, continuare a non soddisfare le esigenze degli acquirenti sul punto vendita può minare nel tempo sia la fedeltà alla marca che quella al punto vendita.
È stato pertanto ritenuto fondamentale trovare un approccio comune per affrontare questo fenomeno ed avere benefici in termini di performance sia dal lato industria che da quello distribuzione: il gruppo di lavoro OSA è stato costituito per affrontare questa nuova sfida.

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ECR Italia ha voluto effettuare un assessment completo sull’Out-of-Stock, attivando un percorso di ricerca integrato e modulare, strutturato su tre filoni, per affrontare il tema nella sua complessità, da diverse prospettive e con l’ausilio di diverse metodologie, per rispondere all’esigenza emersa di non limitarsi ad avviare un semplice nuovo progetto, ma di attivare un processo industrializzato, che potesse portare ad una soluzione di sistema con caratteristiche di continuità nel tempo.

Il quadro in Italia e nel mondo


Le ricadute del fenomeno dell’out of stock non sono non da poco, come osserva Marco Colombo, Solutions & Innovation Director IRI riprendendo i dati del barometro OSA, visto che in 3 shopping trip su 7 viene segnalata almeno un prodotto in rottura di stock.
Situazione non dissimile da ciò che avviene negli Stati Uniti, dove il 75% dei consumatori dichiara di aver dovuto gestire l’assenza di un prodotto della lista della spesa, in Germania e in Francia, dove rispettivamente l’86% e l’82% dei consumatori ha avuto almeno un’esperienza di out-of-stock nell’ultimo anno.

Vero è che la reazione di fronte all’inaspettata assenza di prodotto spinge a cambiare punto vendita solo il 10% dei clienti italiani (contro il 31% di quelli a stelle e strisce), ma il 25% cancella l’acquisto (24% in Usa), il 25% cambia categoria, il 23% cambia marca (insieme fanno il 26% negli Stati Uniti) e il 17% trasla sulla stessa marca nella categoria (19% oltreoceano), mettendo a rischio sia l’insegna (35% in Italia, 55% in Usa) sia la marca (73% contro il 45%).

Nella percezione del cliente, però – spiega Colombo – la responsabilità della mancanza di prodotto ricade quasi completamente sul punto vendita, tanto che l’out-of-stock ha valore rilevante nella percezione del negozio riguardo al livello di servizio e la possibilità di trovare i prodotti è una componente della convenienza.

Cambiando prospettiva e guardando alle dinamiche interne della filiera, Colombo segnala che dal Barometro di ECR Italia si rileva, dopo un lieve peggioramento dell’out-of-stock nel 2015 rispetto al 2014 (al 3,7% dal 3,4%), un trend decisamente positivo nei primi mesi di quest’anno.
Negli ultimi tre mesi, infatti, tutti i reparti riducono le percentuali di rotture di stock.
In lieve peggioramento l’ortofrutta.
Il Barometro fornisce altre indicazioni, per esempio:

  • occorre fare una distinzione tra out-of-stock totale e parziale, come indicatori di ‘zero vendite’ o vendite eccezionalmente basse, spostando l’attenzione dallo scaffale alla riserva;
  • esiste una correlazione tra rotazione e percentuale di rottura di stock (“Nell’ultimo anno le 20 categorie più rilevanti hanno mostrato trend più che positivi rispetto al resto delle merceologie”);
  • ogni gruppo distributivo mostra performance specifiche.



“I distributori, per struttura ed organizzazione, mostrano differenti tassi di out-of-stock e trend. È necessario affrontare la soluzione del problema adottando diverse tattiche in funzione delle performance di partenza e dello stato di maturità del retailer”, sottolinea Colombo.

La testimonianza delle aziende del largo consumo


Nel corso del convegno, Stefano Gambolò, Direttore Marketing di Selex Gruppo Commerciale, ha portato una riflessione sulla percezione dell’out-of-stock lato retailer correlato allo shrinkage all’interno del gruppo distributivo, introducendo l’esperienza di Michele Dardanelli, responsabile riordino di Dimar (associato Selex).

L’azienda sta impiegando i dati del Barometro Osa di Ecr Italia confrontati con quelli aziendali: si tratta di un primo esempio diretto dell’utilizzo del Barometro come benchmark di mercato.
Giorgio Compostella, Key Customer Logistic Senior Manager di Coca-Cola HBC Italy, ha presentato i progetti attivati dall’azienda industriale per facilitare l’inserimento a scaffale dei prodotti per mezzo di espositori demi-pallet e il relativo monitoraggio delle performance.

Colin Peacock, Shrink & Osa Group Strategy Coordinator di Ecr Community in Europe, si è dichiarato certo che la disponibilità a scaffale diventerà una priorità crescente, soprattutto per i retailer omnichannel.
Peacock ha suggerito che affrontare la gestione della disponibilità a scaffale come un problema di qualità potrebbe portare indiscussi benefici alle aziende.
È una continua ricerca del giusto equilibrio: a volte può risultare più corretto vendere di più e perdere di più, o anche investire maggiormente sui collaboratori a punto vendita e su un elevato livello di servizio al cliente.

Il caso Dimar



I due casi di miglioramento dell’OSA di Dimar, azienda associata a Selex Gruppo Commerciale e di Coca Cola HBC Italy confermano che l’out of stock può essere “controllato” .
La prima, azienda con 105 strutture di vendita dirette e 80 affiliate, ha effettuato un primo test su tre punti vendita utilizzando il Barometro di ECR Italia, per comprendere perché non era stato raggiunto un target ottimale di vendita, in quale misura, a che livello merceologico e con quale attributo di appartenenza.

“Da gennaio abbiamo introdotto il monitoraggio OSA in 80 strutture di vendita, cominciando a coinvolgere tutte le funzioni aziendali e creando una nuova cultura degli addetti del negozio a contatto con i clienti”, spiega Michele Dardanelli, responsabile riordino di Dimar.
Intervenendo in tre aree – la gestione del replenishment a fornitore e a punto vendita e una nuova gestione dell’organizzazione interna nel punto vendita – nel solo reparto dei freschi si è ottenuto a marzo un aumento delle vendite del 20% e dell’incidenza del reparto dell’1,3% rispetto al marzo dell’anno precedente.

Nello specifico, gli interventi hanno riguardato la riduzione a 6 ore del tempo intercorrente tra la generazione dell’ordine e la messa a scaffale dei prodotti, con un rifornimento dello scaffale lungo tutta la giornata.
“Solo mettendo a punto una nuova organizzazione e una reportistica personalizzata e condivisa con tutte le aree aziendali interessate, non c’è stato alcun incremento di costi”, conclude Dardanelli.

Tanto che l’esperienza di Dimar è stata individuata come modello pilota per il Gruppo Selex.

Il caso Coca Cola


Sul fronte dell’industria, Coca Cola HBC Italy ha analizzato in profondità il tema dell’out-of-stock (che per il sistema globale Coca Cola vale circa un miliardo di dollari), individuando il punto vendita come l’anello più debole della filiera quanto a generazione del problema.
Si è quindi elaborato un processo di azione condiviso con i retailer, basato su uno strumento di tipo statistico che elabora i dati su tre livelli – le vendite attese, le classi di prodotto e la definizione delle soglie di vendita per giorni della settimana e per formati – che definisce attraverso un algoritmo l’albero logico delle causali, genera un tracking giornaliero dell’OSA e di altre attività, identificando le opportunità per migliorare l’esecuzione sul punto vendita.

I risultati così ottenuti sono poi condivisi sul punto vendita e si attivano le azioni correttive.
“I risultati confermano che l’ultimo miglio è il processo più critico – afferma Giorgio Compostella, Key Customer Logistic Senior Manager Coca-Cola HBC Italy – e mancanza di prodotto a scaffale e falso stock sono le motivazioni più ricorrenti.
Che a loro volta, poi, sono diverse a seconda dei processi di riordino e dei flussi logistici.
Tuttavia, se c’è collaborazione i risultati non mancano: dall’aprile 2014 a oggi, nei tre progetti che abbiamo attivato, la disponibilità a scaffale è passata dal 94,6% al 96,4%. Ricordo che un miglioramento dell’OSA del 3% si trasforma in un +1% di vendite”.

Una ricerca condotta con la collaborazione della University of Technology di Eindhoven ha consentito di creare un modello che identifica i livelli minimi di spreco per tre categorie di prodotti freschi (carne, ortofrutta e convenience in 27 punti vendita per un totale di 17.093 variabili), associando i tassi di spreco a ciascun obiettivo di disponibilità ottimale a scaffale.





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