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Logistica alimentare e tracciabilità trasporti
Un progetto avviato dall'Università di Bologna per scoprire cosa accade ai prodotti alimentari durante il viaggio.


Hardware e Software per il Magazzino

Tracciare le criticità del trasporto nei prodotti alimentari

5 Luglio 2011

Tracciabilità alimentare: origini e contesto
Il concetto di tracciabilità è nato nel settore alimentare in seguito agli scandali di metà degli anni ’90, ad esempio l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) e i polli alla diossina: si aveva la netta impressione di avere ormai oltrepassato il limite oltre al quale le ragioni del profitto non venivano più affermate solo a discapito della qualità dei prodotti, ma anche della sicurezza dei consumatori.

A livello europeo, le disposizioni in merito alla tracciabilità rientravano in un quadro più ampio e complesso di norme sulla sicurezza alimentare (il Regolamento CE n. 178/2002, che fra le altre cose, ad esempio, istituisce e definisce le funzioni dell’EFSA), e avevano il duplice scopo da un lato di rendere praticabile quel modello di produzione, trasformazione e distribuzione dei generi alimentari che aveva mostrato, per certi versi, di ritorcersi contro coloro i quali lo avevano creato; dall’altro di restituire ai consumatori, e quindi al mercato, un poco di fiducia nel fatto che in una società complessa e strutturata come la nostra fosse ancora possibile acquistare presso un supermercato una scatoletta o una bistecca senza dover pensare di correre rischi per la propria salute.

Nessuno stravolgimento, quindi, del sistema, ma l’introduzione di due principi fondamentali: in primo luogo la possibilità di seguire passo passo, ‘dal campo alla tavola’, il tragitto dei prodotti alimentari (tracciabilità), potendo di conseguenza, in caso di dubbi sulla sicurezza, individuare i lotti di prodotto interessati e ritirarli tempestivamente dal mercato (rintracciabilità); in secondo luogo l’attribuzione di responsabilità diretta sulla sicurezza dei prodotti alimentari all’attore della filiera che di volta in volta li detiene, trasforma o distribuisce.

Nata come strumento di gestione e controllo del rischio correlato alla produzione e distribuzione degli alimenti, la cosiddetta ‘tracciabilità evoluta‘ (per approfondire, si veda anche La tracciabilità alimentare in Italia? Ancora non abbastanza (e)voluta, pubblicato su Logisticamente.it), nella misura in cui accerta la provenienza e segue il percorso di tutti gli ingredienti, potrebbe essere utilizzata in svariate applicazioni come metodo per salvaguardare e certificare la qualità dei prodotti e dei processi.

Descriviamo qui di seguito un progetto avviato dalle facoltà di Ingegneria Industriale e Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna.

Cosa accade ai cibi in viaggio? Se lo sono chiesti all’Università di Bologna

Da un lato il mercato globale; dall’altro, in particolar modo per l’Italia, prodotti alimentari che recano in sé le specificità del territorio dal quale provengono, e proprio per questo sono apprezzati e richiesti in tutto il mondo: come riuscire ad esportare, oltre ai nostri marchi, anche i nostri profumi e i nostri sapori?

Il problema circa tre anni fa se lo erano posti, per quanto riguarda il vino, al Georgia Tech di Altanta, negli USA, chiedendosi che differenza ci fosse fra il vino spedito dai produttori e quello che effettivamente raggiungeva il desco dei consumatori, e ultimamente se lo pongono anche in Italia, a Bologna, in seno a un progetto, denominato ‘Food Supply Chain‘, che coinvolge il dipartimento di Ingegneria Industriale e quello di Scienze degli Alimenti, nonché diverse aziende agroalimentari sparse su tutto il territorio nazionale.

 

 

Come spiega Riccardo Manzini, docente di ingegneria industriale e direttore del progetto, l’obiettivo è analizzare le variazioni che subiscono gli alimenti durante il tragitto fra produttore e consumatore, individuandone i fattori di alterazione (temperatura, umidità, vibrazioni, umidità), in modo da permettere di intervenire per risolvere le criticità legate al trasporto.

Per fare questo sono stati inseriti dei sensori (data logger) nelle spedizioni europee o extraeuropee di prodotti italiani, che registrano le variazioni di temperatura, di umidità e le vibrazioni sopportate dalla merce durante il tragitto.

Una volta giunti a destinazione insieme alla merce, i sensori vengono restituiti all’Università, che in base ai dati registrati sottopone un campione dello stesso lotto alle medesime sollecitazioni, riprodotte in laboratorio: il risultato è con buona approssimazione un prodotto dalle caratteristiche organolettiche uguali a quello consegnato alla fine del viaggio.

I dati raccolti durante la spedizione, e quelli ottenuti dalle analisi di laboratorio sui campioni di prodotto, oltre a dare, in prima istanza, la misura di quanto differisca il prodotto che si suppone di avere spedito da quello che è effettivamente stato ricevuto, forniranno informazioni utili a individuare i fattori di alterazione e a indicare su quali criticità – e con quali costi – intervenire.

Un sito internet dedicato spiega tutti i dettagli del progetto, e promette di essere costantemente aggiornato con le ultime news: http://foodsupplychain.diem.unibo.it

Bertinoro, 28 giugno 2011: giornata di studio e tavola rotonda

L’Università di Bologna ha organizzato dal 26 giugno al 1° luglio il primo “International Workshop on Food Supply Chain“, durante il quale gli studiosi coinvolti nel progetto ‘Food Supply Chain’ hanno potuto scambiarsi dati e informazioni, condividendo i primi risultati del progetto: noi siamo andati a Bertinoro il 28 giugno, all’incontro pubblico rivolto ai produttori, ai logistici e a tutti gli interessati.

Presso la Chiesa di S. Silvestro, nelle strutture del Centro Residenziale Universitario, a partire dalle 14,00 abbiamo assistito alla presentazione del progetto per cura di Riccardo Manzini, con a seguire due approfondimenti sulla filiera dell’olio e su quella del vino, le due tipologie di prodotti sui quali in questa prima fase si è focalizzata la ricerca.

I dati raccolti hanno mostrato che, nonostante il vino sia un prodotto stabile, e presenti quindi criticità molto minori rispetto all’olio, in alcune spedizioni si sono verificati innalzamenti della temperatura tali da compromettere la qualità organolettica del prodotto: sostanzialmente, al cliente finale è giunto un prodotto differente da quello che gli era stato spedito.

Indicazioni importanti sono giunte anche dalle spedizioni nelle quali era stato inserito più di un data logger, in differenti posizioni del container: i dati raccolti potranno contribuire a ottimizzare il carico disponendo le confezioni anche in funzione della loro inerzia termica.

 

Il pomeriggio è proseguito con l’intervento dei relatori di alcune aziende partner del progetto, ovvero Giovanni Giacobazzi di Donelli Vini Spa, Vaimer Ballotta, direttore operativo di Olitalia Srl, Antonio Giovanetti, direttore acquisti e logistica di Camst, Simone Pisani, environment intelligence manager di Tetra Pak, Sergio Banderali, business development di Cavalieri Trasporti.

A seguire la tavola rotonda, che ha ripreso gli argomenti trattati nella prima parte del pomeriggio, alla quale hanno partecipato esponenti del mondo accademico e rappresentanti delle associazioni di categoria del settore agroalimentare e della logistica.

Riservandoci di approfondire gli spunti più interessanti con articoli dedicati, indichiamo nuovamente l’indirizzo del sito internet del progetto: http://foodsupplychain.diem.unibo.it





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