L’Ordinanza n. 9515/2024 della Corte di Cassazione rappresenta un punto di riferimento nella gestione delle verifiche fiscali che coinvolgono il valore delle scorte di magazzino, componente cruciale per molte attività del settore logistico e distributivo. Il caso, relativo all’accertamento di una farmacia, definisce con precisione i limiti del potere ispettivo e ribadisce il ruolo centrale del giudice di merito nella valutazione delle prove. Un tema che incide direttamente sulle operazioni di inventory management, sulla tracciabilità delle scorte e sulla corretta rappresentazione economica dei magazzini.
L’accertamento riguardava l’anno d’imposta 2006 e coinvolgeva IVA, IRPEF e IRAP.
L’Agenzia delle Entrate aveva determinato un maggior imponibile sulla base degli studi di settore, nonostante due elementi rilevanti fossero stati evidenziati dal contribuente:
La farmacia aveva presentato documentazione a campione che confermava il minor valore reale delle scorte. Nonostante una parziale riduzione dell’accertamento, l’Ufficio rifiutava la svalutazione del magazzino, preferendo il valore contrattuale dell’atto di cessione dell’attività. Le Commissioni Tributarie di primo e secondo grado avevano però riconosciuto come più attendibili le prove fornite dal contribuente.
La contestazione ruotava attorno a un tema cruciale per la logistica: la corretta valorizzazione del magazzino. L’Agenzia riteneva vincolante il dato contrattuale, mentre il contribuente dimostrava come il magazzino trasferito avesse un valore inferiore se valutato sulla base dei prezzi standard fornitori.
La dinamica è emblematica di un problema che molti operatori logistici conoscono: la discrepanza tra il valore formale attribuito a una scorta e il valore effettivamente ricostruibile dalle movimentazioni. La Cassazione sottolinea che la “verità contrattuale” non è automaticamente prevalente sulla “verità sostanziale”, quando quest’ultima è supportata da elementi probatori coerenti.
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha chiarito che il Fisco, pur lamentando una violazione di legge, chiedeva in realtà una rivalutazione del compendio probatorio, attività che non rientra nelle funzioni del giudice di legittimità.
Il ruolo della Cassazione si limita infatti a verificare:
La Corte precisa che la valutazione delle prove spetta esclusivamente al giudice di merito, cui è attribuito il potere di scegliere quali elementi considerare attendibili in base al principio del libero convincimento. Nel caso specifico, la Commissione Regionale aveva motivato in modo esaustivo la preferenza accordata alla documentazione del contribuente.
Un passaggio particolarmente rilevante riguarda il riferimento alla giurisprudenza precedente: la Cassazione richiama, tra le altre, le pronunce n. 20608/2022 e n. 18249/2021, confermando che gli studi di settore richiedono una “grave incongruenza” come presupposto dell’accertamento. Nel caso trattato, lo scostamento residuo – appena superiore al 10% – risultava al limite dei requisiti previsti.
L’ordinanza incide non solo sulle verifiche fiscali, ma anche sulle prassi gestionali delle aziende.
Il provvedimento chiarisce alcuni punti chiave:
Per chi opera nella logistica e nella supply chain, la sentenza sottolinea l’importanza di una documentazione puntuale, di un sistema di tracciamento affidabile e di procedure di inventory valuation allineate ai valori di mercato.
L’Ordinanza n. 9515/2024 ribadisce un principio cardine: la valutazione delle scorte non può essere cristallizzata su un valore formale quando prove attendibili ne attestano uno differente. Per le imprese che gestiscono grandi volumi di merci, si tratta di un precedente rilevante, che rafforza il ruolo della corretta gestione documentale e del controllo interno nella difesa da accertamenti non coerenti con la realtà operativa.
Ricevi la newsletter gratuita per rimanere aggiornato sulle ultime novità del mondo della logistica
