La pandemia ha rivelato le criticità nella gestione della Supply Chain globale mostrando i limiti dell’approccio “just in time”.
Un ritorno all’approccio “just in case” potrebbe essere un valido sistema per limitare le debolezze di una Supply Chain troppo estesa.
Nel periodo della pandemia il blocco e l’imbottigliamento dei porti, l’incapacità di gestire i picchi di traffico alla ripresa, l’accumulo dei container in un solo lato della linea di approvvigionamento, l’aumento dei costi di spedizione hanno causato non solo seri problemi a tutte le aziende del settore ma hanno avuto serie ricadute anche sui prezzi al consumatore finale.
La carenza di scorte come microchip, semiconduttori, e dispositivi medici sta mettendo in crisi interi settori economici, alcuni dei quali strategici.
Il cambio di approccio da “just in case” a “just in time” è stata anche una conseguenza del fenomeno dell’offshoring che, mirando al puro risparmio, ha causato lo sventramento di interi settori produttivi.
Per tutelare la reperibilità immediata ed efficace delle merci, prevenendo situazioni critiche, una valida soluzione è il reshoring, puntando a una produzione domestica, almeno dei prodotti indispensabili per la sicurezza nazionale.
La soluzione per una riorganizzazione della Supply Chain potrebbe essere il ripensamento della logica del JIT stretto, tornando a una dinamica logistica “just in case”, soprattutto se sostenuta dal fenomeno del reshoring: questa la riflessione di Lucio Miranda (ExportUSA).