Dallo scorso 1° giugno, a distanza di circa tre mesi dalle elezioni tenutesi il 4 marzo, l’Italia ha un nuovo Governo.
Il risultato uscito dalle urne ha portato alla formazione di un esecutivo a trazione Lega e Movimento 5 Stelle, le due principali forze “populiste” (come definite dalla maggior parte dei commentatori politici italiani ed esteri) del nostro Paese.
Lo stesso Giuseppe Conte, il premier italiano, si è definito davanti all’emiciclo di Montecitorio come l’ “avvocato del popolo”.
Luigi Di Maio, leader dei pentastellati, vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, in sede di commento della finanziaria ormai completata diverse settimane fa, l’ha definita “la manovra del popolo”.
Il linguaggio è importante, ma ancor di più le azioni intraprese dall’esecutivo, con la palesata vicinanza alla forza lavoro, al ceto più numeroso del Paese e, secondo alcuni degli esponenti del Governo, il più sfruttato.
Proprio Luigi Di Maio, ha proposto pochi mesi dopo il suo insediamento come titolare del dicastero del Lavoro e dello Sviluppo economico il cosiddetto “decreto dignità”, il mezzo con cui sarebbero stati ristabiliti i diritti sociali dei cittadini.
Entrato in vigore lo scorso 14 luglio e convertito in legge con alcune modifiche il successivo 11 agosto, questo decreto prevede novità anche per quanto riguarda il settore logistico.
Vediamo le più significative.
In primis, le modifiche più sostanziali apportate sono quelle che regolano i contratti di lavoro a tempo determinato, che hanno mutato le modalità di accesso per le aziende alla flessibilità lavorativa.
Come ben sappiamo, il mondo della logistica necessita strutturalmente di flessibilità, motivo per cui nel 2014 l’allora ministro del Lavoro Giuliano Poletti (Partito Democratico) aveva eliminato l’obbligo di indicazione delle causali all’interno dei contratti a tempo determinato.
Un intervento, questo, che riconosceva di fatto alle aziende il diritto di ricorrere liberamente alle forme di flessibilità contrattuale per far fronte a esigenze di natura produttiva anche temporanee.
La nuova normativa mantiene ferma questa possibilità per le aziende, ma solo per un periodo massimo di 12 mesi, trascorsi i quali sarà necessario che l’azienda indichi la causale, esplicitando quindi il motivo per cui l’assunzione del lavoratore viene effettuata per un periodo di tempo ridotto rispetto al contratto a tempo indeterminato, considerato la formula contrattuale standard.
Le causali previste dalla normativa sono due: esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’attività o per esigenze sostitutive di altri lavoratori ed esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
Lo strumento del MOG, introdotto nel 2014 all’interno del contratto collettivo nazionale di lavoro, è dedicato ad alcuni particolari settori produttivi (specialmente turismo, grande distribuzione organizzata, logistica, alimentare, agricoltura, telecomunicazioni e servizi alla persona) con il fine di ricondurre alla somministrazione di lavoro altre tipologie contrattuali quali il lavoro intermittente, quello occasionale, i voucher e altri.
Il monte ore garantito prevede inoltre una retribuzione minima pari a un quarto dello stipendio garantito ai lavoratori a tempo pieno prevista dal CCNL dell’utilizzatore (quindi il 25% di 39 o 40 ore nel caso del CCNL Autotrasporti, Merci e Logistica).
Se il dipendente avrà il diritto di lavorare e a essere retribuito per le ore effettivamente contrattualizzate, d’altro canto l’azienda può chiedere al dipendente di prestare del lavoro aggiuntivo rispetto a quello che era il monte ore oggetto del contratto (fatta salva comunque la possibilità per l’utente di declinare la richiesta).
Queste ore di lavoro prestate dal dipendente verranno poi retribuite come ordinarie, almeno fino a che non sarà raggiunto l’orario pieno settimanale.
Sarà solo al superamento del monte ore settimanale che scatteranno gli straordinari.
Ogni azienda ha un numero massimo di contratti a tempo determinato stipulabili.
Questo limite diminuisce o aumenta a seconda del numero di lavoratori inquadrati invece permanentemente.
Nello specifico, la limitazione è nella misura del 30% dei contratti a tempo indeterminato in essere al 1° gennaio dell’anno di stipula dei predetti contratti.
La novità prevista dal decreto dignità indica la possibilità per le aziende di non conteggiare i lavoratori che nel recente passato hanno avuto una posizione di lavoro stabile tra quelli conteggiaibili ai fini del calcolo delle percentuali di contratti a tempo determinato impiegabili.
Lo staff leasing consiste infine nella possibilità, per le aziende, di aggiungere al 30% di forza lavoro a tempo determinato un ulteriore 20% di forza lavoro assunta a tempo indeterminato da parte di un’agenzia per il lavoro e inviata in missione presso l’azienda utilizzatrice.
Una pratica espressamente vietata, così come il lavoro a chiamata, dal CCNL Autotrasporti, Merci e Logistica del 2013.
Nel dicembre 2017, in fase di revisione del testo stesso, era stato ipotizzato che entrambi questi istituti potessero essere riabilitati.
Le successive valutazioni hanno poi portato al ritorno del solo contratto a chiamata, mentre lo staff leasing è rimasto vietato.
Nonostante ciò, da parte della filiera logistica prosegue il pressing per questa nuova “liberalizzazione”, essendo lo strumento dello staff leasing potenzialmente utile tanto per stabilizzare i dipendenti, quanto per dare ulteriore flessibilità alle aziende di un comparto fondamentale come quello logistico.
Insomma, modifiche, realtà nuove con cui interfacciarsi, vecchi problemi e sfide.
Il decreto dignità punta, come spesso capita alle iniziative di legge, a migliorare la qualità del lavoro, tutelare i dipendenti e conservare – se non aumentare – la produttività delle aziende e la ricchezza generale del Paese.
Se avrà ragione lo scopriremo solo con il tempo.