Qual è il grado di efficienza logistica del sistema alimentare italiano e quali sono gli elementi “macro” e “micro” che lo determinano?
Quali le linee guida per cercare di uscire dall’impasse e stabilire il vantaggio competitivo delle aziende italiane?
A queste domande risponde Stefano Madile – manager con importanti esperienze dirigenziali in compagnie multinazionali – che ha fondato SLM Business Consultancy.
La società si occupa di consulenza e sviluppa soluzioni ad hoc in ambito logistica e supply chain management per aziende del settore Food e Horeca, grazie alle elevate competenze nel campo del Project Management, nell’analisi e nella valutazione di costi e benefici e nella ricerca di soluzioni su misura per il cliente.
L’obiettivo è chiaro: rendere più efficace e sicura la filiera dal fornitore al cliente finale, permettendo delle riduzioni di costo sia a livello prodotto ma anche di servizio (costi logistici ed acquisti).
L’Italia ha fatto un salto strutturale, superando quello che è sempre stato un limite, ma anche uno dei tratti distintivi del valore e della ricchezza unica del cibo Made in Italy: la frantumazione dell’offerta che, unita all’assenza di distributori italiani nel mondo, ha rallentato la capacità delle aziende italiane di rispondere alla grande richiesta internazionale di prodotti alimentari italiani.
Restando ancorati a un’ottica distributiva domestica, a volte anche solo interregionale o locale tout court.
Il balzo strutturale si è espresso in varie modalità: dalla nascita di piattaforme aziendali logistiche e distributive, alla fondazione di collettori unicamente logistici, fino all’apertura da parte delle singole aziende di filiali e uffici commerciali all’estero che consentono l’instaurazione di relazioni dirette e una maggiore cura nei servizi e del marketing.
Sono soprattutto le aziende italiane che esportano ad avere superato piuttosto rapidamente tutti gli aspetti organizzativi di base.
Si tratta di imprese oggi in grado di rispondere con flessibilità alle richieste di packaging, formati, etichettature e certificazioni dipendentemente dai Paesi e dai clienti.
La conseguenza di tutto questo sforzo si coglie nei numeri.
Cresce la scalata dell’export italiano nel mondo e l’intero sistema guarda con giustificato ottimismo all’obiettivo dei 50 miliardi di euro a valore nel 2020.
E le stesse prestazioni interne stanno migliorando. Ma c’è ancora molto da fare.
L’export alimentare italiano nel 2017 ha messo a segno un ulteriore +7% sul 2016, grazie soprattutto alle ottime performance di alcuni dei prodotti rappresentativi del Made in Italy: formaggi (+11%), vino (+6%), cioccolata (+20%), prodotti da forno (+12%).
L’Italia fa meglio degli altri big exporter come Usa (-0,2%), Cina (+2,1%), Germania (+3,3%) o Canada (+3,4%), ma la distanza in valore assoluto resta ancora alta.
L’export tedesco vale infatti 76 miliardi di euro, quello francese 60, a dimostrazione di come la brand reputation da sola non sia sufficiente per affrontare i mercati internazionali e garantire una leadership.
“In un mercato come quello della produzione e distribuzione di prodotti alimentari, dominato dalla massiccia diffusione di catene di distribuzione organizzata, molte aziende produttrici specializzate del settore – depositarie di un saper fare invidiatoci dal mondo – trovano un forte limite nelle proprie ridotte dimensioni, sia in termini di gamma produttiva, sia in termini manageriali ed organizzativi.
Limite che si accentua ancora di più se si considera l’importante sviluppo dei punti vendita retail, gourmet e bio, sistemi di franchising, nonché la crescente presenza del fenomeno e-commerce”, spiega Stefano Madile, alla guida di SLM Business Consultancy.
“Questo aspetto caratterizza nel bene e nel male tutto il tessuto industriale italiano, ma è rilevabile ancor di più, forse, nel settore della produzione alimentare che è spesso legato a logiche tradizionali e familiari che sono parte della sua natura.
Il prodotto alimentare deve saper affrontare, per essere adeguatamente trasportato e promosso sul mercato estero, importanti ostacoli in termini di esigenze logistiche e di distribuzione.
Il riferimento è non solo alle aziende produttrici ma anche a quelle distributrici e commerciali, come nel campo della ristorazione in franchising: tutti ambiti accomunati dal fatto di gestire e utilizzare fornitori italiani.
È l’intera catena, dunque, che si ritrova ad affrontare queste sfide e a dover superare tali ostacoli”.
Si pensi, ad esempio, alla gestione della temperatura ed alle esigenze di tutela della salute; alla necessità di far apprezzare e degustare le caratteristiche del prodotto, al problema della concorrenza dei prodotti “Italian sounding”.
In questo caso, ad esempio, i rischi sono anche legati al plagio non solo del prodotto Made in Italy ma anche del brand, del concept, dell’idea imprenditoriale legata alla qualità italiana, con la conseguente necessità di una elevata tutela legale per le aziende nostrane.
Anche per tale motivo, quindi, diviene sempre più rilevante affidarsi ai partner giusti all’estero sotto tutti i punti di vista, non solo in ambito meramente logistico.
“Non da ultimo, ulteriori situazioni da affrontare sono rappresentate dagli ostacoli non tariffari all’ingresso nei Paesi esteri, dalla complessità e differenziazione delle procedure di controllo e certificazione – continua Madile – Il disallineamento fra le caratteristiche del produttore tipico italiano e le necessità di competitività e competenza sui mercati esteri è, dunque, un handicap oggettivo, ma esso può e deve essere oltrepassato utilizzando strumenti e partner che puntano proprio alla valorizzazione del ruolo della logistica”.
Quali, quindi, i consigli alle aziende alimentari e della distribuzione e della ristorazione che intendano intraprendere questa strada?
E in che modo figure professionali specializzate possono intervenire per supportare le aziende in questa crescita?
“Bisogna partire dalla formazione e dall’informazione.
Fondamentale è avvicinarsi all’estero conoscendo il mercato che si vuole approcciare, tramite strumenti mirati ed adeguati; bisogna conoscere gli aspetti tecnici in merito alle certificazioni e alle altre norme che regolano l’ingresso in un dato mercato.
Oggi sempre di più l’industria alimentare è chiamata ad un salto di qualità, ad una modernizzazione notevole dei propri processi e nell’utilizzo di nuove tecnologie come l’Internet of Things, le App, la Blockchain, sotto la spinta di colossi che chiedono il contenimento dei costi e dei tempi della supply chain, e del consumatore finale che diventa sempre più esigente in tema di freschezza, di salute degli alimenti e di rispetto dell’eco-ambiente”.
Per approfondire le tematiche e confrontarsi con SLM Business Consultancy: www.slmbconsult.com