24 Ottobre 2018
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Un industriale con il quale intrattengo da una vita rapporti d’amicizia, oltre che d’affari, mi diceva giorni fa: “Da quando ti conosco, tu e i tuoi colleghi, ci bombardate con la teoria della flessibilità, che è secondo voi, il rimedio di ogni male e, condizione indispensabile per guidare le nostre barche (“aziende”), di qualunque tipo esse siano: grandi come navi da crociera, piccole come pescherecci o fuori bordo”.
E sarà ben vero: ma “flessibilità” è parola magica, facile da pronunciare, difficilissima da realizzare.
Noi, per esempio, che siamo di dimensioni medie, cerchiamo di essere flessibili, a modo nostro.
Come facciamo?
Nei periodi di relativa calma navighiamo tranquilli seguendo la rotta tracciata; quando il mare si gonfia e arrivano le onde alte ci organizziamo per resistere: comprimiamo al massimo i costi, stressiamo i fornitori, sacrifichiamo qualche dipendente, spingiamo sulle campagne promozionali.….e comunque, rispetto a trent’anni fa, abbiamo cambiato molto, abbiamo investito in automazione, le nostre maestranze sono molto più flessibili, andiamo ad acquistare materie prime e componenti anche in mercati lontani, abbiamo sposato le teorie dell’outsourcing.
Allora volevamo fare tutto da soli (ci saremmo fatti in casa anche i cartoni degli imballi, potendo) oggi la maggior parte delle nostre operations è lasciata a terzi che devono accettare commesse piccole o grandi a seconda delle nostre esigenze.
Così, di solito riusciamo a resistere: siamo “flessibili” perché cambiamo in funzione della forza del vento.
Però, onestamente, mi chiedo se sia proprio questa la flessibilità e soprattutto come la intendono le altre aziende.
A domanda rispondo.
“Flessibilità è – in teoria – capacità di cambiare, nel breve periodo, prodotti, processi (il modo di farli, cioè, gli impianti le macchine, le linee….), strutture (fabbriche e magazzini) e anche organico, se necessario”.
Dunque voi potete definirvi flessibili.
Le vostre mosse, per quanto ne so, coincidono al 90% con quelle dei vostri concorrenti.
Ma, a mio avviso, la vera flessibilità è qualcosa di più.
Oggi, siamo nel 2018, non è possibile pensare alla flessibilità in questi termini: “Il mercato cambia e io sono flessibile perché so adeguarmi in fretta”; questo è un concetto passivo di flessibilità.
A mio avviso ce ne sarebbe un altro più attivo: è quello di prevedere i mutamenti del mercato e cercare di anticiparli.
Ma questo è difficile direte voi, come fare per realizzarlo?
I requisiti fondamentali sono a mio avviso tre:
Queste tre condizioni si completano a vicenda e, comunque, presuppongono tutte una qualità che, se è bella nell’uomo, è meravigliosa in azienda: l’umiltà.
Solo chi è umile è disponibile ad imparare dai concorrenti, a collaborare con i colleghi e a mettersi in discussione per cambiare, se necessario.