9 Luglio 2012
Ripropongo per il mio editoriale di questo mese un titolo che ho già utilizzato nel numero scorso di aprile.
Come avevo già anticipato in quella sede, sto ripensando spesso in questo periodo a storie significative della mia esperienza professionale di consulente e formatore logistico.
Sono storie vere e piuttosto esplicative delle situazioni difficili che le aziende stanno vivendo e che qualche imprenditore e top manager si sforza di rendere ancora più complicate.
Oggi vi propongo quella di un borioso direttore generale alle prese con la formazione dei suoi logistici. Lo chiamiamo Dott. Rossi, come il Sig. Rossi di due mesi fa.
Il Dott. Rossi mi telefona con insolito fervore per comunicarmi che ha deciso di mandare i suoi collaboratori ai corsi di logistica che gli erano stati proposti e che trattano gli argomenti della gestione delle scorte e del magazzino.
Lui ha capito da tempo quanto siano importanti queste cose e quanto sia importante avere collaboratori preparati.
Si raccomanda però con me di dare un taglio molto pratico ed operativo alle docenze. Lui è uno molto pragmatico e diretto e vuole che chi sta con lui gli assomigli.
I tre logistici mandati dall’azienda (una donna e due uomini) si dimostrano sempre attenti e concentrati.
Imparano sistemi e modelli interessanti e convenienti per l’azienda e, quando al termine del percorso formativo li saluto, si preoccupano di comunicarmi la loro soddisfazione e la loro intenzione di mettersi in azienda subito al lavoro per implementare quello che hanno imparato.
Qualche mese dopo incontro due di quelle simpatiche persone ad un convegno; chiedo notizie dei loro progetti ma intuisco rapidamente un po’ di sconforto nelle loro parole.
Mi dicono in sostanza di non essere riusciti a trasferire al loro capo il valore e la convenienza delle soluzioni che avevano prospettato e quindi, senza un input forte del capo, non erano riusciti a concretizzare le loro buone intenzioni. Uno di essi mi prende da parte in modo confidenziale e mi dice che è anche questione di ruoli.
Quando degli impiegati del loro livello si mettono a parlare di valore delle cose per l’azienda, il capo non li ascolta perché non li ritiene interlocutori adeguati. Solo ai piani alti si sa ragionare e si parla di valore.
Cercando di fare tesoro dell’esperienza, il sottoscritto l’anno seguente organizza per le aziende un ciclo di corsi sul “valore delle logistica per le aziende”.
In quei seminari intendo spiegare soprattutto il valore di ogni scelta o soluzione logistica per l’azienda, magari evitando di scendere nel dettaglio operativo di come tali soluzioni si strutturano.
A questo ciclo di corsi invito esplicitamente e con ogni mezzo gli imprenditori ed i top manager.
Telefono ai miei tre “amici logistici” esortandoli a proporre bene l’iniziativa al loro capo, e poi mi prendo anche la briga di telefonare personalmente al Dott. Rossi; lui mi esplicita immediatamente il fatto di essere in quel periodo molto impegnato e io capisco però in fretta dal tono della chiacchierata di non avere colto nel segno, anzi.
Ai corsi sul valore della logistica si presentano solo due dei tre logistici dell’anno precedente. Loro rimangono contenti come al solito, ma uno di loro, quello che si sente sempre di farmi qualche confidenza in più, mi riferisce di un preciso commento del Dott. Rossi: “Il Dott. Azzali esagera un po’ con il valore della logistica. Io ho sempre avuto fiuto per le cose veramente importanti, ai corsi di logistica sarebbe meglio che si parlasse di logistica operativa, diversamente è inutile perdere tempo!”
Cari lettori, non posso che concludere questo editoriale sulla recidività logistica di alcuni personaggi manifestando apertamente il mio disappunto e ripetendo il mio pensiero sul mestiere di capo che deve anche (o forse soprattutto) comprendere il valore delle cose, anche operative, che bisogna far fare o non far fare agli altri.
Se un capo non ha questa dote, la sua azienda deve sapere fare a meno di una buona logistica.