11 Marzo 2020
di Paolo Azzali
Un fenomeno particolarmente pericoloso che si manifesta troppo spesso nella piccola e media azienda italiana alle prese con i primi importanti problemi di logistica è la spiccata propensione delle persone ad affidarsi esclusivamente al proprio fiuto.
A volte queste aziende buttano all’aria enormi possibilità di business dopo essere riuscite, anche a dispetto di una congiuntura economica sfavorevole, ad allinearsi bene al loro mercato di riferimento producendo o vendendo prodotti “indovinati”.
Il motivo? Approssimazione e superficialità nell’affrontare un cambiamento organizzativo indispensabile quando un’azienda, da “impresa artigianale/familiare o poco più”, deve diventare una “vera azienda” gestendo fatturati e complessità di gamma differenti dal passato.
In pratica accade che le persone deputate ad assumersi responsabilità ed a prendere decisioni (titolari d’azienda o manager indistintamente) si fidino ciecamente e tranquillamente di sensazioni personali nel valutare fenomeni logistici complessi che solo apparentemente possono essere gestiti con modalità indifferenziate e/o scontate; questi fenomeni generano in realtà problemi la cui soluzione dipende invece fortemente da “sfumature” che ne caratterizzano la natura, la dimensione, la continuità, la casualità.
Cosciente di ciò, il mio approccio alla logistica è sempre stato piuttosto quantitativo. Niente slogan o “facciamo quello che fanno gli altri che si fa prima”.
Ritengo che l’esperienza e la conoscenza di situazioni differenti sia senza dubbio importante ma, proprio l’esperienza, mi dice oggi che… se si capisce bene il problema da affrontare, la soluzione è quasi automatica… se si riesce bene a fotografare un flusso logistico, il modo per recuperare efficacia ed efficienza si trova sempre.
E’ un approccio che consiglio caldamente a tutti coloro che devono gestire un cambiamento aziendale e che si basa sulla precisa rilevazione di numeri e indicatori che “inquadrano” il problema logistico da gestire.