Dal punto di vista occupazionale, i quasi 800mila lavoratori impiegati nell’economia del mare rappresentano il 3,3% dell’occupazione complessiva del Paese, superiore di quasi 240mila unità a quella dell’intero settore formato dalla chimica, farmaceutica, gomma, materie plastiche e minerali non metalliferi.
La cosiddetta “blue economy”, l’economia legata al mare, sembra avere una marcia in più rispetto agli altri comparti.
Un dinamismo che si traduce in un apporto al valore aggiunto prodotto in Italia pari a 41,5 miliardi di euro che diventano 120 se si considera anche l’indotto.
E’ il dato “macro” più significativo del 3° Rapporto Unioncamere sull’economia del mare presentato a Gaeta, nell’ambito degli Stati generali delle Camere di commercio dedicati al settore, uno degli appuntamenti della settima edizione dello Yacht Med Festival organizzato dalla Camera di Commercio di Latina.
Nonostante la crisi, infatti, nel periodo 2009-2013 l’economia del mare ha dato segni importanti di tenuta, sia sotto il profilo occupazionale sia sotto quello imprenditoriale.
Sul fronte del lavoro, il comparto si è addirittura mosso in controtendenza rispetto al resto dell’economia: a fronte della perdita totale nel periodo di 691.200 posti di lavoro (-2,9%), l’economia del mare ha fatto segnare un incremento stimato di 24.300 unità (+3,1%), con un notevole impulso derivante dalle attività di ricerca e tutela ambientale assieme alla componente turistica.
Sul fronte delle imprese, invece, nel triennio 2011-2013 il tessuto imprenditoriale (costituito da circa 180mila imprese) è aumentato di 3.500 unità, corrispondenti al +2%, ancora una volta in controtendenza rispetto -0,9% del resto dell’economia. Insomma, la “Blue economy” sembra avere una marcia in più rispetto agli altri comparti dell’economia tricolore.
Un dinamismo che si traduce in un apporto del mare al valore aggiunto prodotto dal Paese pari a 41,5 miliardi di euro che, grazie all’effetto moltiplicatore del comparto, diventano 120 se si considera anche l’indotto.
La novità del 3°rapporto: i giovani
In questa terza edizione del Rapporto viene introdotta un’importante novità finalizzata ad osservare le imprese da un’originale angolazione, basata sulle caratteristiche di coloro che ne sono alla guida: imprese giovanili, femminili e straniere.
Nel 2013, delle 650mila imprese giovanili registrate in Italia, oltre 17mila, pari al 2,7%, operano nell’economia del mare, rappresentando ben un decimo (9,8%), sostanzialmente come avviene anche nell’insieme del resto delle imprese che non sono connesse al mare (10,8%).
Passando al genere, delle circa 1,4 milioni di imprese femminili (sempre con rifermento a quelle registrate a fine 2013), oltre 42mila si arricchiscono della variante “blu”, pari al 2,9%.
Viste all’interno dell’imprenditoria dell’economia del mare, queste 42mila imprese rappresentano quasi un quarto del totale (23,5%), in linea con la presenza “rosa” tra le altre imprese non collegate al mare (23,6%).
Per quanto riguarda le straniere, nel 2013 le imprese straniere afferenti all’economia del mare, registrate presso le Camere di commercio, sono 9.400 unità e rappresentano circa il 2% del totale delle imprese straniere in Italia (poco meno di mezzo milione) e il 5,2% del totale imprenditoriale dell’economia del mare. Si tratta dunque di una presenza ancora non particolarmente marcata, se si considera che nel resto dell’economia le imprese straniere contribuiscono per oltre l’8% al totale.
Una risorsa che genera ricchezza
“L’economia del mare – ha detto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – è una risorsa che genera ricchezza, occupazione e innovazione secondo un modello collaborativo e sostenibile.
Il mare unisce settori e tradizioni diverse in un tessuto imprenditoriale diffuso che può essere una leva straordinaria per il rilancio dell’Italia.
Con gli Stati generali, le Camere di commercio hanno individuato uno strumento di confronto concreto e continuo tra tutti i portatori di interessi di questo grande comparto.
Nell’ultimo anno abbiamo avviato iniziative-pilota in due direzioni: per semplificare gli adempimenti per le imprese, mettendo a disposizione il know-how del sistema camerale, e per rilanciare il sistema degli approdi turistici, attraverso la certificazione della qualità dei servizi.
Il bilancio è fin qui positivo – ha concluso il presidente di Unioncamere – e da oggi rilanciamo l’impegno del sistema camerale per sviluppare nuove linee di azione, come lo sviluppo delle competenze del mare e la maggiore interoperabilità dei nodi della logistica, per favorire un migliore accesso alle città e ai territori”.
Sommando le attività di alloggio e ristorazione a quelle sportive e ricreative lungo i territori costieri – cui si deve il 37% del valore aggiunto complessivamente prodotto dall’economia del mare; a distanza segue un segmento del cosiddetto “terziario avanzato” – rappresentato dalla ricerca, regolamentazione e tutela ambientale – che contribuisce a quasi un quinto della ricchezza prodotta complessivamente dal sistema economico legato al mare (18% ovvero più di 7 miliardi di euro); un dato che evidenzia le potenzialità di questa fetta del nostro sistema produttivo in termini di innovazione e contributo alla salvaguardia del patrimonio naturale.
Come si è detto all’inizio, i quasi 800mila lavoratori impiegati nell’economia del mare rappresentano il 3,3% dell’occupazione complessiva del Paese, superiore di quasi 240mila unità a quella dell’intero settore formato dalla chimica, farmaceutica, gomma, materie plastiche e minerali non metalliferi (571mila occupati; 2,4% del totale economia), e 180mila in più rispetto a quella dei servizi finanziari e assicurativi (poco meno di 630mila unità, pari al 2,6% degli occupati totali).
All’interno dell’economia del mare, gli occupati si distribuiscono tra i settori in modo del tutto simile al valore aggiunto, con una forte incidenza delle attività ricettive e della ristorazione, visto che spiegano più di un terzo dell’occupazione complessiva nell’economia del mare (37%, pari a quasi 300mila lavoratori, una parte consistente dei quali a carattere stagionale); seguono, per dimensione occupazionale, la cantieristica (17%, poco più di 135 mila occupati), la filiera ittica (12%, più di 93mila occupati) e le attività sportive e ricreative (8% pari a poco più di 63mila occupati).
La forte connotazione marina delle regioni meridionali fa sì che l’economia del mare italiana si concentri prevalentemente proprio nel Centro-Sud (60% del valore aggiunto e 64% in termini di occupati), grazie soprattutto alla centralità che assume in alcune regioni come il Lazio, la Sicilia, la Campania e la Puglia (insieme, queste quattro regioni coprono circa il 40% del valore aggiunto dell’economia marina nazionale e il 43% degli occupati generati dal comparto).
Al Nord sono invece tre le regioni trainanti – la Liguria su tutte, seguita dall’Emilia-Romagna e dalla Lombardia – che insieme assorbono all’incirca un quarto di ricchezza e di occupazione ascrivibile alle attività connesse al mare (rispettivamente 26 e 23% del totale nazionale).
In termini di sviluppo territoriale, i dati mostrano come tra le regioni solo in Liguria il valore aggiunto prodotto dell’economia del mare incida per oltre il dieci percento sull’economia regionale (l’11,5%).
Tra le province, l’incidenza maggiore si riscontra a Livorno, dove il 15,9% del valore aggiunto del territorio è dovuto all’economia del mare.
Alla fine del 2013 – sulla base dei dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio – il perimetro dell’economia del mare racchiudeva quasi 180mila imprese (pari al 3% del totale nazionale).
In termini assoluti, il numero maggiore di imprese che ruotano intorno all’economia del mare si concentra nel comparto del turismo marino, (100.033 attività, il 55,7% del totale) come somma dei servizi di alloggio e ristorazione (71.845) e delle attività sportive e ricreative (28.188) che sono svolte lungo i territori costieri.
Al secondo posto segue la filiera ittica (33.952 aziende, il 18,9% del comparto), seguita da quella della cantieristica (28.139, pari al 15,7% dell’economia ‘blu’).