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Assemblea Assoporti 2010: I porti, volano di sviluppo per il Paese
In questo articolo, presentiamo un approfondimento sui temi inerenti al rilancio della portualità italiana in base ai dati forniti dall'assemblea generale di Assoporti tenuta alla fine di settembre.


Trasporti Nazionali e Internazionali

Assemblea Assoporti 2010: I porti, volano di sviluppo per il Paese

13 Dicembre 2010

Premessa
Assoporti è l’Associazione Porti Italiani alla quale aderiscono le Autorità Portuali – Enti pubblici non economici – istituite ai sensi della legge 84/94; le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura insistenti sui territori ove esistono porti e le loro Aziende Speciali Portuali, oltre all’Unione Italiana delle Camere di Commercio I.A.A. (Unioncamere).

Assoporti riunisce 39 porti marittimi, distribuiti sulle coste di ben 12 delle 15 Regioni che si affacciano sul mare. 23 di questi sono sede di Autorità Portuali, 2 di Aziende Speciali Camerali, uno è gestito da un Consorzio.
Fra i soci anche diverse Camere di Commercio di città portuali, oltre ad Unioncamere.

In questo articolo, presentiamo un approfondimento sui temi inerenti al rilancio della portualità italiana in base ai dati forniti dall’assemblea generale di Assoporti tenuta alla fine di settembre.


I porti italiani

Nel 2009 il volume di merce imbarcata e sbarcata nei porti aderenti ad Assoporti ha superato i 435 milioni di tonnellate, con provenienza e destinazione al di fuori del nostro Paese.
Poco inferiore ai 48 milioni il numero di passeggeri, inclusi i crocieristi.

Sono 480 le imprese che vi operano, limitandosi solo a quelle attive nel segmento della movimentazione delle merci, con quasi 20.000 addetti.
Se a queste si aggiungono le imprese e gli operatori che concorrono allo svolgimento delle fasi portuali, si superano le 6.200 entità, con un numero complessivo di addetti pari a circa 68.000, oltre ai circa 1.250 dipendenti delle Autorità Portuali e 8.000 dipendenti di corpi dello Stato, amministrazioni e agenzie pubbliche.

Le attività portuali nel 2007 contribuivano al PIL con 6,8 miliardi di euro.
Considerando l’intero cluster marittimo, il contributo supera i 31 miliardi.

Dopo la crisi dello scorso anno, gli attuali tassi di crescita fanno sperare di raggiungere fra il 2011 e il 2012 i livelli del 2008 in termini assoluti.
Da una elaborazione di Assoporti sui dati ISTAT, il commercio estero italiano via mare ha visto un incremento in tonnellate dell’8,5%, rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente.

In particolare, le importazioni hanno registrato un aumento del 7,6% e le esportazioni hanno segnato un +11,1%.
A favore dell’inversione di tendenza ha sicuramente contribuito la crescita del commercio estero nel suo complesso (+12,6% l’export; +18, 5% l’import), in parte avvantaggiato anche dal deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro.

Ma è ancora presto per affermare che la crisi è passata, permangono ancora margini di incertezza.
Si prefigurano nuovi scenari e i flussi marittimi, con le connesse movimentazioni portuali, registrano una crescita delle direttrici nord-sud e sud-sud, anche nel Mediterraneo, ed un minor peso della direttrice est-ovest, che pur rimane la maggiore rotta mondiale.

Quest’ultima tendenza sembrerebbe parzialmente attenuata dai dati relativi al traffico in transito per il Canale di Suez, che nei primi otto mesi dell’anno è aumentato del 4,5% per numero di navi, complessivamente 11.864, e per volumi di merci transitate, pari a 426,8 milioni di tonnellate (+18,5%).

Il ruolo che giocano i porti, e il sistema dei trasporti, per lo sviluppo del Paese e per mantenere un ruolo determinante nelle politiche del Mediterraneo, è riconosciuto da tutti, ma a questa consapevolezza non si affiancano adeguate misure economiche a sostegno al settore. E nonostante le promesse vengono rigettate tutte le richieste del cluster portuale.


Assoporti per una portualità efficiente

Le Autorità Portuali non chiedono cose impossibili, basterebbero poche risorse per avviare un processo virtuoso con ricadute importanti per i porti ed i loro territori.

Oltre all’autonomia finanziaria, basterebbe procedere al reintegro dei fondi per la manutenzione, “falcidiati” da un’ennesima misura “taglia spese”.

Basterebbe uno stanziamento per assicurare la continuità dei programmi d’investimento infrastrutturale avviati e per un piano organico di dragaggi dei fondali.

Si dovrebbero adottare una serie di altre misure intese a fare chiarezza per ciò che concerne l’ICI sui beni demaniali affidati in concessione.

Assoporti ha indicato da tempo come recuperare le risorse necessarie per non “ingessare” la portualità italiana.

Sarebbero bastati pochi provvedimenti, come la parziale fiscalizzazione (5 punti) degli oneri sociali delle imprese autorizzate ex art. 16, 17 e 18, L. 84/94, per un periodo di almeno 3 anni.
A fronte di questa misura, le imprese si sarebbero impegnate a mantenere inalterati i propri organici.

Si sarebbero potute ridurre le accise sui prodotti energetici utilizzati dai mezzi esclusivamente operanti in aree portuali, come previsto dalla normativa comunitaria ed applicato in porti nord-europei.

Per aiutare l’armamento si potrebbero riconoscere benefici fiscali e previdenziali strutturali per le navi impegnate nei collegamenti di cabotaggio minore.

Per favorire le Autostrade del mare si potrebbero prorogare gli incentivi al trasporto combinato terra-mare.

A sostegno del mercato del lavoro si potrebbe consolidare l’indennità di mancato avviamento per i lavoratori portuali temporanei.

Per migliorare i servizi dei porti e sveltire le procedure si potrebbe dare piena operatività allo sportello unico doganale, rendendo così più efficiente l’intervento della pubblica amministrazione.

Secondo Assoporti la fiscalità generale, invece delle sole Autorità Portuali, dovrebbe farsi carico dell’efficienza di un sistema che, come detto, è una risorsa dell’intero Paese.

Riconoscendo l’autonomia finanziaria, si darebbe nuovo impulso alle attività portuali, premiando gli esempi virtuosi del sistema.

Come potrebbero essere impiegate le risorse?
Per la manutenzione delle aree comuni dei porti, per la realizzazione di infrastrutture, indispensabili e onerose, non in grado di generare flussi di cassa che neanche nel lungo periodo coprirebbero i loro costi: gli escavi, le opere di difesa foranea, i collegamenti ferroviari tra i terminal, le aree ed i parchi di manovra portuali, le connessioni stradali e ferroviarie “di ultimo miglio”.

Ogni porto necessita di veloci ed efficienti collegamenti stradali e ferroviari, di grandi infrastrutture per le quali è impensabile, o comunque altamente improbabile, l’intervento del capitale privato.

Solo permettendo alle Autorità Portuali di disporre dei proventi delle “buone gestioni” si potranno concretizzare iniziative di partnership pubblico-privata per la realizzazione di quelle opere portuali (terminal, banchine, aree di deposito, magazzini) tali da generare un reddito che può ripagare l’investimento del capitale ed il canone concessorio all’Autorità Portuale.

E’ tempo che il Governo ascolti il coro unanime delle associazioni del cluster marittimo e portuale per dare un quadro di regole, anche normativo, che permetta alla portualità italiana di stare al passo con i tempi.





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