L’autotrasporto rappresenta il pilastro del trasporto merci in Italia: è una realtà di cui prendere atto e da valorizzare per un nuovo modello di logistica nazionale.
Secondo gli ultimi dati disponibili (Confetra 2002), la “Fattura Italia” del settore, ovvero il prezzo che le merci prodotte o consumate sul territorio italiano, nonché quelle importate o esportate, pagano per usufruire dei servizi di autotrasporto, ammonta a circa 80 miliardi di euro suddivisi tra mercato urbano e locale (32%), mercato regionale (44%), mercato interregionale (17%) e mercato internazionale (6%).
Il problema che più preoccupa è sicuramente la bassa produttività del sistema: solo il 68% dei veicoli con portata media 18 q.li viaggiano carichi, con un tasso di riempimento del 30%, coprendo distanze per il 67% sotto i 100 Km e per il 4% sopra i 200 Km; il 56% dei veicoli con portata media 192 q.li viaggiano carichi, con un tasso di riempimento del 76%, coprendo distanze per l’87% sotto i 100 Km e per il 16% sopra i 200 Km (dati 2002-2003 da un’indagine della Regione Emilia Romagna).
Gli stessi indici nel 1995 erano migliori almeno di dieci punti percentuali: la caduta di produttività è dipesa da problemi organizzativi del settore, nonché dal processo di progressiva riduzione delle scorte di magazzino dei clienti sia industriali che commerciali e dalla domanda conseguentemente caratterizzata da una sempre più spinta riduzione dei tempi di consegna.
Il sistema italiano dell’autotrasporto si trova oggi di fronte a grandi cambiamenti in parte dovuti ai mutamenti del quadro internazionale e in parte ai ritardi accumulati nel tempo.
Le criticità più espressive si riallacciano sia al quadro delle relazioni industriali, anch’esso complesso e variegato, sia ai considerevoli ritardi di natura legislativa e comportamentale rispetto ai principali partner europei.
Da circa un decennio le misure di liberalizzazione nel settore previste dalla Commissione Europea, riguardano sostanzialmente la deregulation delle condizioni di accesso ai mercati dei traffici nazionali ed internazionali, nonché della disciplina tariffaria. La giustificazione che, in sede teorica e politica, viene data a questo approccio, è riconducibile alla necessità di stimolare l’efficienza del mercato dell’autotrasporto.
Da sempre, tuttavia, l’Italia sconta gravi problemi strutturali responsabili dello svantaggio competitivo di un sistema in cui gli operatori (soprattutto quelli di piccole dimensioni) hanno per decenni tentato di sopravvvivere alla stretta del mercato e di trattenere margini di profitto sempre più erosi dalla forza contrattuale dei committenti o dei fornitori.
Alla luce di tali premesse è evidente come il processo di liberalizzazione, ancora lontano dall’essere completato senza squilibri e difficoltà, richieda che il sistema di trasporto italiano raggiunga adeguati livelli di competitività e una forte crescita di capacità quali-quantitativa delle imprese stesse.Interventi efficaci sulla organizzazione dei servizi che consentano, ad esempio, di ottimizzare i percorsi e di incrementare il tasso di riempimento permetterebbero di migliorare gli indici di produttività del settore.
In base ad uno studio effettuato da LOGICA (Agenzia Campana di Promozione della Logistica e del Trasporto Merci), ogni 1% di incremento del tasso di riempimento dei veicoli determinerebbe la riduzione della circolazione di 1.340.000 veicoli di portata media 18 q.li e di 500.000 veicoli di portata media 192 q.li in un anno, con le conseguenti riduzioni dei costi di trasporto, della congestione, dell’inquinamento, dell’incidentalità.
Va quindi perseguito come primo obiettivo il recupero dei dieci punti di produttività persi rispetto al 1995: la maggiore quota di trasporto sviluppata solo per le distanze superiori ai 200 Km equivarrebbe ad un incremento del 30% del traffico attuale su ferrovia.
In definitiva, per dare maggiore solidità al sistema occorrerebbe una incentivazione intelligente e continua finalizzata:
In una logica di efficienza imprenditoriale e di maggiore competitività del sistema-paese, è da ritenersi positiva la liberalizzazione del settore dell’autotrasporto ed, in particolare, l’abolizione delle tariffe a forcella e la libera contrattazione dei prezzi tra committente e vettori; va, però, salvaguardato che, soprattutto in alcuni settori specifici (ad es. per le merci pericolose), la liberalizzazione non comporti un abbassamento dei livelli di sicurezza.
Dal 1980 al 2003 gli incidenti stradali in Italia sono aumentati del 40%, mentre in altri paesi europei sono diminuiti (Francia: 50%, Danimarca: 45%, Germania: 10%).
L’introduzione nel luglio 2003 della patente a punti ha prodotto risultati positivi (nel periodo luglio-dicembre 2003 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente si è registrato un – 18% nel numero dei morti), che però si stanno riducendo nel corso del tempo e che comunque non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo europeo di ridurre il numero di morti e feriti gravi del 50% entro il 2010.
Secondo gli ultimi dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, a fronte di una diminuzione della incidentalità generale del 12,8%, i sinistri in cui sono stati coinvolti i veicoli al di sopra delle 3,5 tonnellate sono passati da 10.200 del 2003 a 11.533 nel corso dello stesso anno, con una crescita del 12%.
Analizzando poi le segnalazioni registrate dai centri mobili di revisione sono state 5.148 le infrazioni contestate, pari al 62% dei veicoli controllati.
La gran parte delle irregolarità, in termini assoluti, ha riguardato i veicoli italiani.