Premessa
Quello dei trasporti in Italia è un sistema complessivamente sano, aperto, in cui agiscono operatori nazionali ed esteri, e dove il vento è spesso a favore di questi ultimi per più snelli sistemi legislativo–burocratici e inferiori costi fiscali e del lavoro in vigore nei loro Paesi.
Tra le conseguenze, la colonizzazione dei luoghi in cui transitano le merci, in particolare le strade, e la tendenza sempre maggiore delle imprese italiane del trasporto a delocalizzare, per sopravvivere, là dove il costo del lavoro è più basso e la burocrazia più rapida ed efficiente.
Per rendersene conto basta leggere i dati elaborati dall’Ufficio Studi Confcommercio sulle merci in entrata e in uscita dall’Italia attraverso la gomma.
Nel 2005 36,9 miliardi di t–km in entrata e in uscita dall’Italia erano lavorate da autoveicoli immatricolati in Italia, 42,7 mld di tonnellate erano appannaggio di altri Paesi tradizionalmente forti nell’autotrasporto – tra gli altri Germania e Spagna – e i veicoli immatricolati nell’Est europeo coprivano il 15,5%.
Il fenomeno si è acuito durante la recessione e non si è fermato neppure durante la timida ripresa del 2014–2015.
In termini di quote di mercato i veicoli italiani hanno perso il 23% (passando dal 36,4% del 2005 al 13,4% del 2015), tutto a beneficio dei nuovi entranti che partendo dal 15,5% del traffico raggiungono nel 2015 una quota di mercato di oltre il 55%.
Quanto ha perso l’Italia nell’ultimo decennio?
Tra il 2005 e il 2015 l’Italia perde molto più degli altri concorrenti tradizionali: –69,2% rispetto a –49,7% (mentre i Paesi dell’Est Europa schizzano a +198,5%), una distanza di 20 punti percentuali.
Tra il 2005 e il 2015 anche la percentuale degli operatori italiani sul traffico complessivo si è ridotta, passando dall’8% al 2%.
Evidentemente le politiche, la legislazione e le strategie implementate in Italia hanno funzionato peggio che negli altri Paesi nostri partner–concorrenti nell’autotrasporto.
In questo periodo, sebbene il mercato del trasporto internazionale delle merci con origine o destinazione l’Italia sia cresciuto di quasi 4 miliardi di euro (3,94), le imprese italiane non solo non ne hanno approfittato, ma addirittura hanno perso un valore della produzione stimabile in oltre 1 miliardo e mezzo di euro (1,66).
Va detto che anche gli altri tradizionali competitor hanno visto ridurre il proprio peso e il loro fatturato di circa mezzo miliardo (0,59), che, però, corrisponde a circa un terzo di ciò che hanno perso le imprese italiane.
La parte del leone la fanno, invece, le imprese dei Paesi nuovi entrati nell’Ue, la cui quota nello stesso periodo si è più che quadruplicata, con un incremento complessivo di 6 miliardi di euro.
Quali ricadute?
Fermo restando che le imprese italiane spendono, rispetto alla media di quelle dei Paesi competitor, il 52% in più delle giornate dedicate agli adempimenti burocratici, nella rilevazione Confcommercio e Isfort emerge che nella differenza tra tempo congruo – con un’amministrazione efficiente – ed effettivo – sperimentato “sul campo” dalle imprese –, per quelle di navigazione (traghetti e mezzi veloci) i ritardi cumulati generano un danno di 140 milioni di euro all’anno, mentre per quelle dell’autotrasporto il danno in termini di mancato fatturato è di 790 milioni di euro e supera i 260 milioni in mancato guadagno.
Il sottodimensionamento delle Motorizzazioni e l’allungamento dei tempi necessari alla verifica dei veicoli introdotta in via amministrativa ha generato anche un aggravio di costi valutato in circa 50 euro per pratica (le procedure per la verifica dei mezzi vengono non di rado affidate a soggetti terzi), che aggiungerebbe ulteriori 25 milioni di euro ai costi registrati oggi per il complesso del comparto.
La Via della Seta si allontana
Dai dati emerge uno scenario in cui anche la grande opportunità che si prospetta con la Via della Seta rischia di trasformarsi in un’occasione mancata.
La nuova Via della Seta coinvolgerà 3 continenti, 65 Paesi con due diverse direttrici e 5 rotte: collegherà i centri produttivi della Cina Meridionale con i mercati di consumo europei tramite ferrovia, attraverso Asia continentale e Russia (rotta 1); Cina e Medio Oriente attraverso l’Asia centrale (rotta 2) e Cina con Sud Est Asiatico e India (rotta 3). 8.000 km da Chengdu a Rotterdam.
Via mare, invece, con The 21st Century Maritime Silk Road le merci cinesi salperanno dai porti del Paese per raggiungere il Mediterraneo via Suez (rotta 4) e il resto dell’Asia attraverso il Mar Cinese Meridionale (rotta 5).
Lo scopo è ufficialmente quello migliorare i collegamenti tra Asia, Africa ed Europa.
Al momento non è possibile individuare chiaramente il punto di arrivo della tratta marittima, ma appare evidente che l’approdo più naturale sia l’Italia, posizionata sopra il Canale di Suez, varco di accesso delle navi cariche di prodotti cinesi al Mar Mediterraneo.
La condizione, però, è che si investa massicciamente sull’intermodalità, sulla logistica e su un modello integrato con i processi produttivi.
Cosa chiede Confcommercio
Innanzitutto si chiedono modifiche al “pacchetto mobilità” presentato dalla Commissione Europea lo scorso mese di maggio, per introdurre più efficaci disposizioni di contrasto della concorrenza sleale e del dumping sociale, subordinando prioritariamente qualsiasi forma di ulteriore liberalizzazione delle attività di cabotaggio, ad un necessario riallineamento delle differenziate condizioni di contesto (fisco e previdenza in primis) in cui si trovano ad operare le imprese del continente.
In tema di tariffazione dell’uso delle infrastrutture, si richiede una completa ed efficiente applicazione del principio “chi più inquina più paga” a tutti gli utilizzatori delle stesse, con meccanismi premiali per le soluzioni di trasporto più sostenibili e rapportando i danni ambientali generati, all’entità del trasportato, tenendo in considerazione il sistema impositivo complessivamente gravante sui diversi operatori.
La definizione di un nuovo strumento europeo per incentivare il trasporto combinato, la piena attuazione alla strategia organica d’intervento nel settore “Connettere l’Italia”, promossa dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti per una sostenibilità della mobilità, da conseguire nell’ambito di una politica che punti prioritariamente ad accrescere l’accessibilità e la connettività dei territori, premiando le soluzioni di trasporto più sostenibili, sono tra le soluzioni che riescono a soddisfare, con efficacia ed efficienza, le esigenze della domanda (intermodalità, cura del ferro, cura dell’acqua, sistemi di trasporto rapido di massa nelle città).
Infine, si richiede una coerente strategia d’attuazione del Piano nazionale Strategico della Portualità e della Logistica e della conseguente riforma della “Governance portuale” con la piena operatività della Conferenza Nazionale di Coordinamento delle Autorità di Sistema Portuale, e del coinvolgimento dei rappresentanti degli operatori, per garantire l’originaria visione nazionale della riforma.