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Supply chain collaborativa: progetti di logistica di Generix Group.

Intervista sulla supply chain collaborativa a Catherine Balavoine di Generix Group, per scoprire di cosa si tratti e quali siano i progetti allo studio della multinazionale francese.




Hardware e Software per il Magazzino

La supply chain collaborativa secondo Generix Group.

10 Febbraio 2012

Premessa
Multinazionale francese operante sul mercato dal 1990 e presente in 30 Paesi grazie a 7 sedi – tra cui l’Italia, con uffici a Torino e Milano – e ad un’ampia rete di distributori, Generix Group propone un’offerta integrata di soluzioni informatiche che permettono la gestione collaborativa della supply chain e l’ottimizzazione dell’intera catena del valore e che si rivolgono in particolare ai produttori di beni di largo consumo, alle imprese della distribuzione alimentare e specializzata, alla grande distribuzione organizzata ed agli operatori logistici.

Sono oltre 5.000 nel mondo, e 400 in Italia, le aziende che ad oggi hanno già scelto le piattaforme collaborative sviluppate da Generix per condividere dati, gestire trasporti, siti logistici, approvvigionamenti ed aumentare il livello di visibilità e controllo sulle proprie prestazioni logistiche.

Parliamo di supply chain con Catherine Balavoine


Cerchiamo allora di capire meglio il funzionamento della modalità di gestione collaborativa della supply chain attraverso le parole di Catherine Balavoine, Collaborative Supply Chain Consultant di Generix Group.

  • Parliamo di supply chain collaborativa: se ne sente sempre parlare, ma non si sa bene cosa sia di preciso. Cosa si intende esattamente?

    Ho trovato molto calzante questa definizione, elaborata da uno studio di consulenza in seguito a una ricerca sulle PMI: “Lo scopo della collaborazione è trovare un terreno di intesa basato su valori e interessi comuni per intraprendere azioni collettive condividendone i rischi e i benefici in un’ottica win-win”.

    Le imprese che intendono collaborare devono avere qualche esigenza strategica in comune, come ad esempio progetti per riuscire ad ottimizzare i costi, per riuscire a consegnare agli stessi clienti o a saturare i mezzi, al fine di cogliere obiettivi che da sole non sarebbero mai in grado di raggiungere.

    Faccio notare, nelle logiche collaborative, il principio win-win: ogni azienda coinvolta ne trae vantaggio in proporzione all’impegno e all’investimento nel progetto.

    I modelli di collaborazione sono più di uno: quello classico e maggiormente diffuso è fra produttore e distributore, ma ci sono anche casi di collaborazione orizzontale, ad esempio fra industrie, oppure fra distributori.

    E’ fattibile persino la collaborazione fra aziende concorrenti: posso citare l’esempio di un’azienda produttiva che collabora con un concorrente per la distribuzione dei prodotti.

  • C’è un aspetto, in tutto questo, che mi lascia perplesso, e probabilmente è un’obiezione che le hanno fatto molto spesso: la logistica, di norma, rappresenta anche una leva per aumentare la competitività. Perché mai dovrei condividere con un concorrente tale strategia?

    Secondo me occorre cambiare approccio alla questione.
    La logistica è un processo aziendale piuttosto trascurato rispetto agli altri in termini non solo di investimenti, ma anche di analisi: molte aziende, di fatto, non riescono a quantificare il costo logistico dei singoli prodotti.

    Quindi se è vero che la logistica deve essere competitiva, c’è un quesito a cui rispondere: è più importante che il prodotto arrivi sullo scaffale del negozio due ore prima o nello stesso tempo rispetto a un tuo concorrente oppure uno, due giorni dopo, con il rischio ad esempio di rotture di stock?

    Secondo me, appunto, dovremmo cambiare approccio: non vedere più la logistica come un processo chiuso in se stesso, come l’ultimo processo della catena del valore, ma considerarla fino in fondo, ovvero fino alla soddisfazione del consumatore.

    La vera competitività di un’azienda si misura sulla capacità di raggiungere il cliente con il prodotto giusto al momento giusto, e non necessariamente sul “tenersi stretti” i propri modelli logistici.

  • Una visione del tutto diversa, quindi.
    A proposito mi viene un’altra obiezione: a volte la scelta di produrre un bene di consumo dipende anche, a livello strategico, dalla possibilità di raggiungere il cliente finale.
    Se non esiste questa possibilità non mi metto neanche a produrre.
    E perché mai un’azienda dovrebbe collaborare per mettere in condizione qualcun altro di ampliare la propria gamma e mettere sul mercato lo stesso prodotto, proprio nel caso in cui sia la logistica a fare da discrimine alla produzione?

    Ci sono casi nei quali alcune aziende di grandi dimensioni e grande struttura riescono ad organizzare la propria logistica senza collaborare orizzontalmente con alcun concorrente; ma se un’azienda piccola vuole provare a competere su quel mercato, è chiaro che non può farlo da sola, quindi conviene coordinarsi.

    Soprattutto in un Paese come l’Italia, che possiede una ricchezza sterminata in quanto a particolarità regionali e geograficamente circoscritte.

    Una ricchezza che andrebbe valorizzata.
    Cito l’esempio francese di un gruppo di aziende alimentari della Bretagna, regione periferica della Francia, a 500 km di distanza da Parigi, dei quali 300 senza autostrada.

    La singola azienda, da sola, non sarebbe mai riuscita a consegnare ai canali della Grande Distribuzione.

    I produttori, anche concorrenti, si sono invece organizzati con il trasporto al fine di coprire tutto il mercato e far sopravvivere di conseguenza il polo produttivo della zona.

    In questo, come ho accennato prima, penso proprio all’Italia e alle caratteristiche così parcellizzate delle produzioni regionali.

  • Mi stavo chiedendo se, in tempi di crisi come questo, le aziende siano maggiormente incentivate nell’ideare progetti di supply chain collaboration oppure se, con ridotte possibilità di investimento, stiano aspettando tempi migliori.

    Credo che la supply chain collaboration possa essere estremamente funzionale a restare sul mercato in questo periodo: tutti devono ridurre i costi, tutti hanno l’estremo bisogno di raggiungere sempre un cliente finale molto esigente, che in caso di mancata disponibilità a scaffale non esita a cambiare marca.

    Senza parlare poi del fatto che ridurre i costi logistici significa avere maggiori risorse per essere competitivi sul prodotto, perché il consumatore non vede il processo, ma vede e valuta il prodotto.

  • Secondo me in Italia è difficile: siamo sempre stati molto gelosi dei nostri segreti professionali, e spesso nelle aziende ci sono zone assolutamente off limits.

    Sì, questo lo posso capire se stiamo parlando di produzione.

    Ma se parliamo ad esempio di stoccaggio? Che cosa mai dovrò tener nascosto nel mio processo di stoccaggio? Forse le scorte che si hanno in magazzino?

  • Forse però ho implementato una soluzione logistica che non desidero condividere.

    Generix Group opera prevalentemente nel settore food, dove i processi sono, è vero, molto standardizzati oggi.

    Ma dalle nostre esperienze in altri settori della distribuzione specializzata – elettrodomestici, arredamento, personal care … e addirittura il lusso – i nostri clienti non ci hanno dimostrato avere grandi segreti nell’ambito logistico, che non possano condividere con i loro partner commerciali o i loro concorrenti.

  • Generix, come ha detto, opera anche nel settore food: siamo quindi di fronte a determinate criticità di filiera, soprattutto in riferimento al fresco, al freschissimo, al mantenimento della catena del freddo.
    Le vostre soluzioni funzionano bene anche in altri settori?

    Posso citare, a risposta, due aziende che non appartengono al settore food, ma che traggono grandi vantaggi dall’avere instaurato una supply chain collaborativa: sono le aziende Dunlop e Continental.

    Producono pneumatici e devono consegnare agli stessi clienti, per questo motivo hanno deciso di mutualizzare il trasporto e la distribuzione.

    Da sottolineare il fatto che si tratta di aziende molto dimensionate, che avrebbero di certo i mezzi per gestire tali attività in totale autonomia.

  • Forse può essere la stagionalità del settore ad aver fatto propendere per questa scelta?
    Il settore degli pneumatici infatti mi sembra soggetto a picchi stagionali notevoli.

    Non penso che la scelta sia legata a questo, anche perché, ad esempio, in Francia non vige l’obbligo di cambiare gli pneumatici in inverno.
    Un altro esempio che posso riportare è inerente al settore della profumeria, qui infatti la criticità consiste nel fatto che le consegne dei prodotti vengono effettuate in centro città, dove la circolazione è soggetta a restrizioni.

  • Torniamo a parlare di Italia. Nel nostro paese c’è la supply chain collaboration? Dove?

    Principalmente in due settori possiamo vedere un accenno di collaborazione.

  • Mi spieghi cosa intende per ‘accenno’.

    Sebbene la si chiami ‘supply chain collaborativa’, nella realtà dei fatti alcune aziende si limitano allo scambio di dati, come ad esempio la GDO che agisce così da anni.

    I due settori di cui prima parlavo sono ottica e elettronica.

    Possiamo però affermare che in Italia una piena realtà di supply chain collaborativa ad oggi non esiste ancora.

  • In effetti, pensando al settore dell’ottica e dell’elettronica, e quindi presupponendo una supply chain alquanto lunga, mi verrebbe da pensare che queste istanze provengano dall’estero.

    Probabile. Il fatto è che quando parliamo di supply chain collaboration dobbiamo pensare non solo allo scambio di dati, ma alle attività che sono inerenti all’execution, come il trasporto dei prodotti o l’approvvigionamento, ovvero a tutti quei processi comuni e quotidiani.

  • E voi, da fornitori di soluzioni per la supply chain collaboration, cosa state pensando di fare per promuovere questo approccio alla gestione dei processi?

    Ne stiamo innanzitutto parlando molto. Per mantenere la competitività sul mercato bisogna partire dal guardare ciò che fanno gli altri, non per copiare, ma per migliorare continuamente i processi.

    I concorrenti non sono solo il vicino di casa che fa un prodotto simile al mio, ma si allargano a tutto il panorama internazionale.

    Generix per prima cosa vende software, e non può agire moltissimo in questo ambito se non parlandone il più possibile, raccontando dei casi aziendali di collaborazione in cui le proprie soluzioni software sono state impiegate, portando insomma l’esperienza maturata a livello internazionale, per cercare in primis di sfatare il mito che vorrebbe la supply chain collaboration esclusiva di una sola categoria di aziende.

    Quello che davvero manca in Italia sono i consulenti che indirizzino le aziende in tal senso: non a caso, tutti i progetti di collaborazione nei quali siamo stati coinvolti hanno avuto origine da attività di consulenza logistica.

    Nei progetti di supply chain collaboration c’è sempre stato un capofila che, in qualità di sponsor, affida a una società di consulenza logistica il compito di analizzare ed implementare il progetto: può essere un’impresa, un ente pubblico come la Regione o un’associazione di categoria, che si rende interprete delle esigenze di un gruppo di aziende e individua forme collaborative per una crescita condivisa.

    Questa è la metodologia maggiormente applicata quando si parla di supply chain collaboration.

  • A proposito del management, credo sia logico supporre che, se devo far collaborare l’azienda A con l’azienda B, occorrano manager svincolati da entrambi gli specifici contesti, soprattutto se si tratta di aziende concorrenti.
    Ma come fare in un contesto nel quale, anche per quanto riguarda le aziende di medie e grandi dimensioni, l’aspetto manageriale è sempre stato in stretta correlazione con quello familiare?

    Considerata l’attuale situazione, che non possiamo considerare positiva, occorrerebbe avere l’audacia di provare a percorrere nuove strade.

    Ci piace chiamarla ‘audacia’, ma in realtà basterebbe dare uno sguardo agli studi che sono stati compiuti e ai dati che indicano i vantaggi oggettivi di questo approccio al supply chain management.

  • Riassumendo: il contesto indica chiaramente che la collaborative supply chain è conveniente se non necessaria, i dati a supporto di questo ci sono, al momento mancano i soggetti per applicare questo approccio su larga scala… e la tecnologia?

    La tecnologia c’è: tutte le applicazioni utilizzate oggi sono web based, ovvero accessibili mediante una semplice interfaccia web, possono essere fornite on demand, ovvero senza richiedere un’alta soglia di investimento iniziale, e di per sé nascono orientate alla condivisione delle informazioni.

  • Qualche tempo fa abbiamo pubblicato su Logisticamente.it un articolo sull’implementazione che Generix Group ha attuato con Carrefour Francia.
    Carrefour movimenta volumi molto elevati…

    Sì, se consideriamo unicamente il lato Carrefour.
    Ma proviamo a pensare alla galassia di fornitori che consegnano a Carrefour.
    E’ chiaro che l’iniziativa è partita da questa grande azienda di distribuzione, che si è resa conto dell’impossibilità di ricevere consegne più piccole e più frequenti da ciascuno di essi.

    Per questo motivo ha ideato il progetto 3C (Centri di Consolidamento e di Collaborazione), al quale fanno riferimento ben 600 fornitori.

  • Il concetto appare chiaro: occorre un soggetto guida che abbia la capacità o il potere contrattuale.

    È qui invece che bisogna far attenzione: Carrefour non ha imposto nulla, ma ha semplicemente utilizzato e promosso questo sistema, senza fare leva sul proprio potere contrattuale per la sua imposizione.

    Va considerato che a distanza di 5 anni dall’avvio del progetto solo 5 fornitori ne sono usciti, e di questi 5, 3 l’hanno fatto per il raggiungimento in autonomia della soglia quantitativa minima di carico di un mezzo completo.

    Tutti gli altri fornitori continuano ad utilizzare questo sistema perché porta dei vantaggi: a loro, agli operatori logistici, e infine naturalmente anche a Carrefour.

  • Se ad esempio io avessi una piccola azienda che produce prosciutto e desiderassi far parte di un progetto del genere, di quale infrastruttura tecnologica dovrei dotarmi?

    Sarebbe sufficiente disporre di una connessione web a banda larga, disporre ovvero di una dotazione minima: tutti i nostri software per la supply chain sono disponibili nella formula on demand, di conseguenza la PMI potrebbe usufruire delle nostre soluzioni senza dover effettuare investimenti iniziali troppo alti.
    Il problema dell’Italia è ancora la connessione in sé, non sempre disponibile.

  • Mi conceda l’osservazione che è sconfortante pensare che alcune aziende italiane nel 2012 abbiano problemi di accesso a internet!
    Concludiamo con uno sguardo alla sostenibilità ambientale: la supply chain collaborativa è ecologica?

    Possiamo ritenerla certamente ecologica poiché una logistica collaborativa ti porta a sfruttare gli stessi mezzi, saturando il carico, evitando gli sprechi e di conseguenza ottimizzando i giri, con un conseguente abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, che nel caso del progetto Carrefour di cui abbiamo appena parlato, ad esempio, è stato calcolato nell’ordine del 25%.

  • Ed essendo i trasporti in Italia prevalentemente su gomma, immagino che tutti potremmo avere molti vantaggi.
    Questa è la speranza e il desiderio, sono certa che si arriverà a ragionare seriamente sulla tematica della saturazione dei mezzi, e si raggiungerà l’attuazione di disposizioni sulla sostenibilità dei prodotti, che graverà sul consumatore finale o sulle aziende.

    Il Governo francese nel mese di ottobre ha deciso di obbligare le aziende che si occupano di trasporti ad indicare le emissioni di CO2 su ogni percorso: a partire dal secondo semestre del 2013, ad esempio, chi prenderà un taxi, alla fine della corsa sarà informato su quante emissioni di CO2 saranno state prodotte dal suo viaggio.

    Provvedimenti simili saranno estesi anche alle merci, e in definitiva, a livello europeo, accadrà più o meno ciò che è accaduto con i RAEE.

    Vorrei citare anche l’esempio di un’associazione governativa inglese, che ha pubblicato su un sito internet le emissioni di CO2 delle aziende nazionali, sapendo precedentemente che il consumatore inglese è molto attento e sensibile a queste tematiche.

    Risultano così a disposizione di chiunque ne sia interessato, gli elenchi delle aziende più o meno virtuose dal punto di vista ambientale.





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