Outsourcing
La logistica? Dovrebbe fare come l'industria...
27 luglio 2011
In breve
In questo periodo sono molti i temi oggetto di dibattito nel settore della logistica e dei trasporti: TAV, tracciabilità, costi minimi dell'autotrasporto sono argomenti, per restare nel clima estivo, decisamente caldi.
Abbiamo parlato di questo e di molto altro con Roberto Prada, AD di Number 1, che ha condiviso idee e informazioni sui processi in atto per migliorare il supply chain management, portando alla nostra attenzione strategie percorribili ed esempi concreti.
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Premessa
Number 1 è un operatore logistico specializzato nel settore del Fast moving consumer goods nato nel 1998 da Gruppo Barilla, che ha trasformato la propria funzione logistica in una società autonoma, creando un'azienda di servizi logistici.
Da allora Number 1, forte dell'esperienza maturata nella logistica dei prodotti Barilla, ha offerto i propri servizi ad aziende che, desiderose di ottimizzare i processi, hanno individuato nella terziarizzazione logistica una soluzione per mantenere alta la propria competitività.
Siamo andati a intervistare Roberto Prada, dal 3 gennaio 2011 amministratore delegato di Number 1, per conoscere quali siano le strategie di sviluppo, cogliendo l'occasione per parlare dei temi in questo momento all'attenzione del settore.
Conversazione con Roberto Prada
«...perché vede, tutti noi dobbiamo lavorare per guadagnarci il pane, ma se devo essere sincero a me il mio lavoro piace proprio: non è affatto banale rivolgersi alle aziende, entrare nei loro processi, e introdurre in tale complessità le procedure più opportune per assolvere alla funzione logistica.
Sì, devo dire che il contesto business to business non è assolutamente così lineare come potrebbe sembrare dall'esterno».
A registratore spento, Roberto Prada, dal gennaio 2011 responsabile di Number 1, chiude così il nostro incontro: mettendo il suggello a una conversazione durante la quale ci ha parlato del proprio lavoro come farebbe un cinefilo nel descrivere, con interesse, competenza e passione, un buon film.
Dal 3 gennaio 2011 lei è il nuovo responsabile di Number 1: al di là del comunicato stampa che abbiamo letto sui quotidiani locali all'epoca, ci direbbe qualcosa in più?
Ero entrato in Number 1 all'inizio del 2010, per seguire il progetto di riorganizzazione dell'azienda occupandomi di questioni di staff: a fine 2009 infatti usciva il management storico dell'azienda, che era ormai giunta a uno stadio di maturità; dopo un ciclo di oltre 10 anni, anche per rispondere alle richieste del mercato, è infatti naturale parlare di cambiamento, e dopo una fase di transizione un po' lunga e traumatica, la responsabilità di guidare l'azienda è stata affidata a me.
In cosa è cambiata la domanda del mercato negli ultimi anni?
Mentre in passato all'azienda veniva riconosciuto dai clienti un differenziale qualitativo, che giustificava un costo proporzionale, oggi il differenziale qualitativo si è ridotto: in primo luogo perché non abbiamo più a che fare con aziende singole, ma con filiali di multinazionali, che hanno metodologie e progettualità stabilite a livello europeo; in secondo luogo perché i clienti sono molto più pressanti su questioni di costo, e a volte la qualità non è più considerata il solo fattore prioritario.
Secondo lei, questo accade perché c'è stato un livellamento verso l'alto della qualità dei servizi logistici oppure perché le aziende sono focalizzate unicamente sulla marginalità?
Oggi c'è una forte pressione sul contenimento dei costi: le aziende hanno affrontato l'ottimizzazione logistica solo dopo essere intervenute sugli altri processi, in Italia soltanto un terzo dell'attività logistica è in outsourcing, e affidare la logistica a un operatore viene vissuta essenzialmente come un'operazione di riduzione dei costi in questa o in quella funzione.
Si tratterebbe di fare un salto culturale, ovvero evitare di concentrarsi sui costi della singola attività e capire che il grande vantaggio dell'operatore logistico sta nel progettare una gestione differente della complessità, in un'ottica organica e unitaria.
Questo non è forse dovuto alla tradizionale reticenza delle aziende italiane nel fornire i dati per attuare una effettiva integrazione dei processi?
No, non direi: chi è convinto a gestire in modo diverso la propria logistica i dati li fornisce, e si arrivano a costituire gruppi di lavoro congiunto con il cliente.
La resistenza maggiore che abbiamo riscontrato è nella poca propensione delle aziende ad affidarsi a un unico fornitore: affidando ad attori differenti le varie fasi della supply chain, l'operatore logistico non potrà mai far ottenere al cliente quel vantaggio che procurerebbe se avesse una visione complessiva della filiera.
Number 1 di quali settori si occupa?
Siamo nel settore del Fast Moving Consumer Goods: non solo food & beverage, ma prodotti per l'igiene e la cura della persona, della casa: prodotti affini in quanto a caratteristiche logistiche e canali di sbocco.
Vale a dire grande distribuzione?
Sì, il canale di sbocco principale è la GDO, ma ci sono altri canali di sbocco per i quali chi come noi ha una presenza capillare sul territorio è maggiormente competitivo, ad esempio le farmacie, gli allevamenti per animali (distribuiamo anche pet food), le profumerie, i parrucchieri. Anche il mondo dell'Horeca è molto variegato.
Per specializzarsi in determinati settori, non occorre solo conoscere bene le caratteristiche del prodotto, ma anche i canali sui quali il prodotto viene commercializzato: un conto è andare a scaricare in un magazzino della grande distribuzione, un conto è andare, ad esempio, a consegnare in una farmacia o in un ristorante.
Number 1 ha una rete nazionale che supera i 100.000 punti di consegna, ed è vero che la GDO fa la gran massa dei volumi, ma se non vado errato siamo gli unici in Italia ad avere il controllo diretto su una rete di tali dimensioni, ed è proprio qui che si offre il maggior valore aggiunto.
La vostra rete è focalizzata soprattutto in Italia, giusto?
Sì, siamo molto focalizzati in Italia. Gestiamo i magazzini di stabilimento, il lancio delle confezioni promozionali, la gestione presso i nostri magazzini, i trasporti primari e infine la distribuzione secondaria: tutto in Italia, con un fatturato che è circa per il 50% di prodotti terzi e per il 50% per Gruppo Barilla.
Oggi non si può non guardare all'estero, ma sappiamo anche che in Italia c'è ancora molto lavoro da fare: sono convinto che il mercato abbia delle potenzialità enormi, perché anche se si tratta di un mercato stagnante, come anche nel resto d'Europa, nel nostro paese la quota coperta dagli operatori logistici è molto più bassa.
Potenzialmente, l'outsourcing in Italia potrebbe raddoppiare la propria quota di mercato.
Quindi la vostra, più che una ricerca di nuovi mercati, sarebbe "semplicemente" un'operazione culturale?
Beh, se fosse così semplice qualcuno l'avrebbe già fatto... però credo che da un lato molte aziende in Italia, che sono filiali di multinazionali, siano orientate a seguire l'esempio dell'estero, e dall'altro vedo una generazione nuova di imprenditori che sono più propensi all'outsourcing: non bisogna dimenticare che chi fa le consegne costituisce il punto di contatto fra azienda e cliente, e non è del tutto immediata l'idea di cedere ad altri questa parte del processo.
La differenza fra i clienti esteri e quelli italiani è nell'approccio: i primi organizzano gare, i secondi ti provano, vanno per tentativi. Prima ti affidano un pezzettino dei loro processi, e poi valutano se è il caso di andare oltre. Però la volontà c'è.
Allora immagino che Number 1 si stia attrezzando per rispondere alle esigenze della PMI.
Esatto. Sino ad ora Number 1 è stato l'operatore logistico per le gradi aziende, ed è stata strutturata di conseguenza; oggi stiamo cambiando: stiamo tarando i nostri processi per trovare un giusto equilibrio fra la completa personalizzazione, che è possibile solo per aziende di grandi dimensioni, e la standardizzazione, ovvero la possibilità di usufruire, in mancanza di volumi così importanti, di procedure consolidate.
In una parola modulari?
Proprio così, un po' come accade con le autovetture: a volte troviamo due automobili completamente diverse, che però hanno lo stesso pianale, o lo stesso motore. E questa è una prima strategia di sviluppo.
La seconda invece è quella di allargare il nostro ambito di azione lungo la filiera: da sempre ci siamo focalizzati sull'industria, ma intendiamo offrire i nostri servizi anche ai produttori di materiali.
Faccio un esempio: chi produce sughi, utilizza i barattoli di vetro. Noi potremmo estendere la nostra azione anche a monte della produzione industriale. E la stessa cosa vale per i prodotti finiti, coprendo così tutta la filiera.
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Qui veniamo a definire il tanto nominato 'supply chain management', di cui molto si parla e poco si fa...
Sì. Se io mi concentro su un solo tratto della filiera, non posso usufruire dei vantaggi che otterrei affidandone l'intera gestione a un operatore logistico.
E la stessa logica di visione e gestione dell'intera filiera dovrebbe essere fatta propria anche dai CeDi della grande distribuzione, che ad esempio in Italia concentrano le consegne al mattino, senza dare la possibilità di ottimizzare l'utilizzo dei mezzi; oppure dalle aziende produttive, che concentrano le consegne negli ultimi giorni del mese: all'estero le cose funzionano diversamente, e i benefici si ripercuotono lungo tutta la filiera.
Oggi ci sono segnali che sembrano rendere possibile l'adozione di un tale modello anche in Italia.
Un cambiamento in tal senso sarebbe auspicabile, e lo dico da consumatore.
Sì, ci sarebbero vantaggi per tutti, e in primo luogo circolerebbero meno camion sulle strade.
In tal caso però dovremmo cambiare anche controllo sui mezzi di produzione, andando a modificare il rapporto univoco un uomo - un camion, perché è chiaro che in tal caso non si può pretendere che un mezzo circoli in continuazione.
Però, se lei ci pensa, in una fabbrica gli impianti lavorano 24 ore al giorno: finite le proprie ore, gli operai giustamente si riposano e vengono sostituiti dai colleghi del turno successivo.
E voi quali strategie avete messo in campo?
Le faccio un paio di esempi, sia per il mondo dei trasporti sia per il mondo dei magazzini.
Per il trasporto, abbiamo fatto interventi per aumentare la produttività dei mezzi, introducendo modalità di gestione dei viaggi sia per i trasporti a medio raggio sia per quelli a lungo raggio: uno l'abbiamo chiamato 'aggancia sgancia', l'altro 'diligenza'.
Il primo segue il principio del disaccoppiamento fra carico e trattore: abbiamo costituito flotte regionali in cui i semirimorchi vengono caricati presso i CeDi in assenza della motrice; poi vengono trasportati a un altro CeDi, nel quale la motrice li lascia per agganciarne un altro, e così via.
In questo modo, laddove si riuscirebbe a fare un solo viaggio, se ne fanno anche tre, andando così ad agire sulla produttività del mezzo, non sul suo costo.
Il progetto 'diligenza' invece è per i viaggi lunghi: se ad esempio devo portare un carico da Milano a Foggia, e un altro da Foggia a Milano, gli autisti si incontrano a metà strada e si scambiano i carichi.
Il vantaggio è che, fatto salvo il riposo ogni 4 ore e mezza, gli autisti riescono a rientrare in sede prima della pausa lunga.
Anche nei magazzini stiamo lavorando in funzione dell'aumento di produttività: oggi cominciano ad esserci le tecnologie per coniugare automazione e flessibilità, e nel centro di Pedrignano stiamo lavorando a un progetto altamente innovativo, per applicare alla logistica una logica industriale, cosa che sino ad oggi è mancata.

Abbiamo iniziato questa conversazione parlando di rinnovamento, lei ha accennato a un cambio di generazione... quali figure professionali ritiene che manchino nella logistica oggi?
Nella logistica ci sono professionalità eccellenti nelle singole funzioni: trasporti, magazzini, eccetera. Secondo me manca un po' la capacità di integrare più aspetti: se devo cambiare un processo, devo occuparmi dell'aspetto operativo e di quello amministrativo, che in logistica sono estremamente intersecati, perché ogni azione ha una immediata ricaduta economica.
E poi c'è l'informatica: è impossibile pensare di compiere una qualsiasi azione senza considerare il flusso informativo.
Beh, come minimo ci vorrebbero un paio di lauree...
Una persona può partire con un tipo di formazione, poi dovrebbe essere l'azienda a farle fare un determinato percorso formativo, facendola passare attraverso le varie funzioni: per avere figure del genere, occorre avere dei percorsi di carriera strutturati.
Noi siamo all'inizio, ma ci sono operatori che hanno già cominciato a muoversi in questa direzione.
Ora le faccio tre domande legate all'attualità. La prima riguarda il batterio E. Coli: a suo modo di vedere la tracciabilità, ormai in vigore da una decina d'anni, ha funzionato oppure no? Perché se devo essere sincero, qualche perplessità ce l'ho: siamo passati infatti dai germogli di soia agli hamburger, poi siamo approdati sulle rive di un ruscello, infine siamo giunti a germogli di fieno egiziani.
A giudicare dalle notizie non sembra aver funzionato a dovere, ma questo è imputabile anche alla necessità dei mezzi di informazione di dover fornire aggiornamenti in tempo reale: molto probabilmente, l'oscillazione di giudizio negli esperti è stata molto meno importante di quella che ci è stata trasmessa dalla stampa.
Inoltre occorre considerare una questione tecnica: per i prodotti finiti che escono dall'industria credo che la tracciabilità sia molto più spinta e avanzata; poi risalendo la filiera, quando si arriva alle materie prime di base, è verosimile che sia molto meno semplice risalire ai problemi, pertanto non so se si sarebbe potuto fare di più.
Quindi secondo lei occorerebbe potenziare il sistema di tracciabilità a monte?
Probabilmente sì, ma non è un settore che conosco così bene per poterlo affermare senza ombra di dubbio. Ciò che invece posso dire, visto che ne ho una conoscenza diretta per aver lavorato prima nell'industria e poi nella logistica, è che dallo stabilimento industriale in giù il sistema è estremamente accurato e immediato, perché basta leggere i dati sulla confezione.
Diverso è il discorso quando si parla, ad esempio, di materie prime come ortaggi e simili.
Ecco la seconda domanda: i costi minimi dell'autotrasporto. Cosa ne pensa?
Ormai è legge. Fra l'altro non si sono ancora raggiunti accordi di categoria.
In base ai nostri calcoli, applicare le tariffe minime ai contratti scritti facendo riferimento a quelle dei contratti non scritti, in alcuni casi significherebbe innalzare il costo di quasi il 25%.
Il settore dell'autotrasporto è in difficoltà, ma secondo me è stato fatto un errore, che è quello di pensare di risolvere i problemi, come quello della sicurezza, aumentando i prezzi: ciò significherebbe aumentarli lungo tutta la filiera, scaricandoli sulle spalle dei consumatori.
E non credo che il governo possa permettere una spinta inflazionistica del genere, dal momento che il consumo già è in forte difficoltà: occorrerebbero piuttosto strumenti per correggere la parcellizzazione delle aziende di autotrasporto, formando entità più grandi, che permettano di disaccoppiare l'autista dal carico.
In questo modo si renderebbero i mezzi molto più produttivi, si permetterebbe agli autisti di avere un'ottima qualità di vita, e ci sarebbe più sicurezza per tutti.
La via d'uscita è aumentare la produttività, che è esattamente quello che a suo tempo ha fatto il mondo dell'industria, investendo negli impianti per fare economie di scala maggiori
E nei trasporti ciò significa prima di tutto disaccoppiare il mezzo dall'operatore.
Ma lo sa che all'estero, tentando di spiegare questa situazione, ovvero l'imposizione di tariffe minime, non mi hanno creduto? Pensavano che fosse una scusa per alzare i prezzi!
Ora la terza domanda di attualità, e poi finalmente la lascio lavorare.
TAV o NO-TAV? Glielo chiedo perché nel nostro strano paese, di domenica in Val di Susa si manifesta contro la realizzazione dell'alta velocità ferroviaria, mentre di lunedì a Genova si chiede a gran voce la realizzazione del cosiddetto 'terzo valico'. Nel primo caso i disordini continuano; nel secondo, c'è stato un ulteriore rinvio dell'accordo a causa dell'incendio alla stazione Tiburtina di Roma.
Riusciremo mai a conferire realtà alla parola 'intermodalità'?
Il trasporto ferroviario è un grosso problema in Italia: noi abbiamo operatori, clienti internazionali che ci chiedono nei tender di fare proposte di trasporto ferroviario, e questo avrebbe anche aspetti di salvaguardia dell'ambiente, tematica sulla quale, giustamente, c'è l'attenzione di tutti.
Noi facciamo pochissimo su ferro, principalmente perché abbiamo problemi: di affidabilità e di tempi di consegna. Non c'è un trasporto che facciamo su ferrovia che non subisca furti in numero considerevolmente maggiore rispetto alla strada.
Inoltre, per le caratteristiche delle nostre attività, il trasporto su ferro non ci permetterebbe di fornire i livelli di servizio richiesti dalla nostra clientela.
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