La
supply chain a livello
globale ha fortemente risentito degli effetti sia della pandemia sia della guerra in Ucraina.
Se fino a qualche tempo fa esisteva ancora una minima speranza di normalizzazione in seguito al superamento della fase più complessa della pandemia, ad oggi con i porti cinesi ancora bloccati, la mancanza di
container e il rincaro dei
noli marittimi sempre più imprese si stanno orientando verso il cosiddetto
reshoring, il “rimpatrio” fornitori dall’Estremo Oriente a territori più vicini alle loro sedi.
Cosa hanno fatto le aziende per tutelarsi?
Per tutelarsi dall’instabilità le aziende hanno deciso di accorciare la
catena delle forniture facendo un maggior rincorso a fornitori italiani, sia della stessa regione dell’azienda sia di altre regioni italiane, e a fornitori europei.
Inoltre, al reshoring si è anche affiancata la scelta di diversificare le fonti di approvvigionamento di
materie prime e
semilavorati.
Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica
Limes, ha dichiarato: “È prematuro ipotizzare che il mondo possa evolvere verso due blocchi ben distinti.
È più probabile, e i segnali ci sono già, che emergano tendenze autarchiche, con le
produzioni che vengono trasferite in patria o spostate da un Paese all’altro”.
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