In breve

In occasione del convegno “Un Mediterraneo piccolo piccolo” che si svolgerà a Roma il prossimo 21 febbraio torniamo a parlare delle strategie della “blue economy” e degli scenari del mare, che vedono e devono vedere il Mediterraneo in primo piano " />
Trasporti nazionali e internazionali

Blue economy: Mediterraneo ombelico del mondo

07 febbraio 2017












In breve

In occasione del convegno “Un Mediterraneo piccolo piccolo” che si svolgerà a Roma il prossimo 21 febbraio torniamo a parlare delle strategie della “blue economy” e degli scenari del mare, che vedono e devono vedere il Mediterraneo in primo piano
Premessa
Il Convegno che si terrà a Roma ha come punto di partenza un’analisi sulla situazione geo-politica del Mediterraneo e quindi sulle prospettive reali di sviluppo, o anche solo di difesa, delle attività connesse con crociere, nautica da diporto e traffici.

Si tratta di un percorso finalizzato a lanciare in Italia la Blue Economy.
Obiettivo strategico dell’Unione Europea, la Blue Growth, ovvero lo sviluppo di tutte quelle attività eco-compatibili che consentano una crescita economica e sociale che faccia perno sul mare, è in Italia scarsamente avvertita come una priorità.
Ma proprio dai destini del Mediterraneo dipenderanno le possibilità reali del nostro paese di invertire la rotta e agganciare il treno di una crescita che sia rispettosa dell’ambiente, che frutti potenzialità in gran parte inespresse, anche anticipando le conseguenze derivanti da fenomeni di cambiamento in atto, primo fra tutti quello di un "Mediterraneo piccolo piccolo".


L’Italia e il mare
Si stima che, nell’Unione europea, l’economia marittima produca beni e servizi per un valore annuo di quasi 340 miliardi di euro e dia lavoro a 1,2 milioni di persone.
L’attività marittima è legata alla presenza di iniziative industriali, commerciali e professionali che hanno avuto nella passato e hanno oggi un impatto significativo sulla vita delle comunità, o perchè rendono possibile il collegamento con altre realtà, svolgendo così un ruolo cruciale in termini sociali ed economici.

Data tale importanza, la Commissione europea sta portando avanti una ricerca specifica per raggiungere una definizione comune di Blue Economy ed ottenere statistiche replicabili, al fine di assicurare un elevato standard di scelte politiche.
Anche la Nato è cosciente del tema e ad esso dedica gli incontri Shade Med (Shared Awareness and De-Confliction in the Mediterranean), l’ultimo dei quali si è tenuto a Napoli nel mese di novembre.

Per l’Italia, in particolare, il mare ha un ruolo chiave.
Il cluster marittimo è ancora uno dei settori più dinamici dell’economia italiana, con una produzione globale di beni e servizi pari a quasi 33 miliardi di Euro, che impiega circa il 2% della forza lavoro (471mila persone tra dipendenti diretti e indotto).
In vent’anni, la dimensione della produzione e dell’occupazione nelle attività marittime è cresciuta poi in modo significativo del 60%, anche se rallentata dalla lunga crisi economica, che ha colpito pesantemente attività così integrate nel commercio mondiale.
L’Italia è infatti in primo luogo una economia di trasformazione, dove le materie prime arrivano dall’esterno (per lo più da altri continenti) per essere qui lavorate in prodotti semilavorati e finiti, poi venduti su altri mercati in Europa e nel mondo.
Ed è anche un’economia dove il turismo nazionale ed internazionale svolge e svolgerà un ruolo sempre crescente nello sviluppo.

Il nostro Paese detiene il primato europeo nel traffico crocieristico (con 6,2 milioni di passeggeri e 4.600 scali), e quello mondiale nella costruzione di navi passeggeri e di motor-yacht di lusso.
Anche il sistema portuale italiano è stato a lungo al 1 ° posto in Europa per importazioni ed esportazioni di merci via mare (oggi è al terzo, con 213 milioni di tonnellate).
Basta pensare che per mare viaggiano l’80% delle importazioni di petrolio e il 42% di quelle di gas. Il cluster marittimo spende annualmente circa 20 miliardi di euro in acquisti di beni e servizi.
I costi di distribuzione, per lo più in ristoranti e trasformazione dei prodotti alimentari, sono quasi 2 miliardi di euro.
Poi c’è il grande capitolo, altrettanto importante, degli acquisti di beni e servizi effettuati da proprietari di barche e croceristi al di fuori del settore marittimo, per un valore di oltre 2 miliardi di euro.


Il ruolo dei porti: Trieste
Il porto di Trieste si conferma prima scalo italiano anche nel 2016 con 59,2 milioni di tonnellate di merce movimentata (+3,68%), ed è anche primo scalo italiano per movimentazione ferroviaria con 7631 treni (+27,61%).

Lo si è appreso pochi giorni fa alla presentazione dello stesso scalo agli operatori austriaci nel corso di un convegno all’ambasciata italiana.
Trieste è diventato il primo porto ferroviario italiano, non solo per numero di treni ma anche per destinazione su scala estera.
É, infatti, l’unico scalo italiano con treni diretti e frequenti su percorrenza internazionale (Austria, Germania, Lussemburgo, Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia); inoltre da pochi giorni è entrato in esercizio il nuovo collegamento verso Kiel.


Quello dei collegamenti ferroviari con i porti è un tema decisivo nelle politiche del governo, insieme alle altre misure adottate per il sistema mare.
Misure che si chiamano sportello doganale unico e sdoganamento in mare.
E altre misure ancora come gli incentivi per l’utilizzo delle autostrade del mare, attraverso il Marebonus, e del trasporto su ferro, attraverso Ferrobonus – incentivi per 138,4 milioni nel triennio 2016-2018.
Tutti provvedimenti che stanno alimentando quella che Graziano Delrio ha chiamato più volte "una blue economy sostenibile ed intelligente al servizio della crescita del Paese".
Senza contare poi gli effetti della ormai prossima riforma della portualità e della logistica che, assicura Delrio, “è a buon punto”, e della necessità di una governance sulle infrastrutture che abbia "un forte coordinamento nazionale: nessuno vuole sostituirsi alle autorità locali, ma non amiamo anarchia nella programmazione e nel comportamento.
Deve essere chiaro a tutti: il Paese – ha concluso Delrio - deve abituarsi ad avere regole comuni, poche, pochissime".


Un Mediterraneo “mondiale”
In questo contesto, il ruolo del Mediterraneo giustifica ampiamente l’attenzione. Rappresenta solo l’1% della superfice degli oceani, ma il 19% del traffico marittimo mondiale in generale e il 30% di quello di petrolio.

Attraverso di esso giunge in Europa il 65% delle risorse energetiche. Gli scambi commerciali tra l’Italia e il Mediterraneo hanno toccato nel 2015 i 66,5 miliardi di Euro (+ 64% rispetto al 2001) e si stima che nel 2018 raggiungerà 74,8 miliardi.
La maggior parte del traffico tra Italia e Mediterraneo si sposta via mare (76,2%) e nel 1° semestre del 2016, il nostro paese con 23 miliardi di Euro è primo per import-export via mare, davanti alla Germania (22 miliardi).

Anche con l’Estremo Oriente il Mediterraneo svolge un ruolo sempre più centrale.
Suez ha infatti rafforzato la sua posizione di perno del traffico mondiale da e verso l’Asia.
Ben 823 milioni di tonnellate hanno attraversato Suez nel 2015 (10% del commercio marittimo mondiale): sia Southbound con destinazione Asia (52%), sia dall’Asia in direzione Nord (54%).
Per la Cina il commercio con l’area del Mediterraneo è aumentato di 11 volte rispetto al 2001, raggiungendo 257,4 miliardi di Euro.
Quel paese sta anche effettuando importanti investimenti nella logistica marittima (un esempio è il porto del Pireo).
Nel settore più moderno del traffico marittimo mondiale assistiamo ad una nuova centralità del Mediterraneo, grazie al transito di navi portacontainer giganti via Suez. Dal 1995 nei porti mediterranei i contenitori sono aumentati del 422%, raggiungendo nel 2015 i 48 milioni di Teu.
E il trend è destinato a proseguire con forza: secondo l’OCSE, il traffico marittimo tra Oriente e Mediterraneo (Mar Nero incluso) più Europa passerà dagli odierni 114,6 a 173 milioni di Teu nel 2030 (+ 51%, 3% / anno), quindi a 308 mln di Teu nel 2050 (+ 78%, 4% / anno).

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